Famiglia

La famiglia è un nodo, non un nido

Mille famiglie hanno aperto le porte di casa, per ospitare un migrante: un'esperienza che cambia anche chi accoglie. Il primo dicembre al Mudec di Milano Consorzio Farsi Prossimo e VITA promuovono una giornata in cui racconteranno alcune di queste esperienze. «Senza apertura non c'è famiglia», spiega Chiara Giaccardi che condurrà l'evento insieme a Riccardo Bonacina

di Chiara Giaccardi

Accoglienza in famiglia. Due parole in realtà molto vicine, perché senza apertura (all’altro, alla vita, al mondo, a ciò che ci interpella e anche ci disturba) non c’è famiglia.

Se porte e finestre sono chiuse, la famiglia soffoca. Vivere la condizione dell’apertura per la famiglia non è un imperativo morale bensì un’esigenza vitale: può essere l’accoglienza di un figlio, di un genitore anziano, del figlio di una coppia in temporanea difficoltà, di un rifugiato. La famiglia, come scrive Rainer Maria Rilke, è il paradosso di due infiniti che si incontrano con due limiti, due bisogni infiniti di essere amati che si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare.

La famiglia quindi è il luogo del paradosso, il luogo reale dell’impossibile, sempre imperfetta e sempre in tensione: per accogliere non occorre essere una famiglia perfetta, semplicemente perché la famiglia perfetta non esiste. La realtà imperfetta della famiglia è la condizione della sua apertura e anche della sua bellezza. Una famiglia accogliente è una famiglia disponibile a lasciarsi trasformare, una famiglia che ha capito che aprire la porta di casa e accogliere non è solidarietà come buona azione, ma è lasciarsi provocare dalla vita, accettare di mettersi in quella dinamica vitale che fa bene innanzitutto a noi. E non perché ci rende buoni e santi, ma perché ci consente di restare vivi in un mondo di persone spente, senza desideri e senza speranze.

Accogliere è un movimento di reciprocità e non una benevolenza unilaterale verso qualcuno. Il movimento della famiglia è quello del simbolo: la famiglia è qualcosa di piccolo che si apre (e ci apre) su qualcosa di più grande. Un movimento che nel mondo del “tutto presente”, del “tutto subito”, dell’immanenza senza apertura, dell’etichetta senza resto che sostituisce la parola (che invece apre un mondo e un mistero) abbiamo disimparato.

Quando diciamo famiglia, a questo punto è bene specificarlo, intendiamo qualcosa che non è così scontato. Di certo non è la famiglia nucleare della modernità, la forma storica della famiglia che conosciamo oggi, una famiglia che ha respirato tanto individualismo da diventare quasi irriconoscibile, tant’è che non ha più attrattiva per i giovani. Dire famiglia accogliente significa quindi anche dire che quello che siamo abituati a chiamare famiglia va ripensato, non perché rifiutiamo la sostanza della famiglia — al contrario — ma perché non ci riconosciamo nella forma storica che ha assunto. La famiglia che intendiamo non è la famiglia nucleare separata dai legami con le generazioni e chiusa difensivamente su se stessa: quella è la famiglia dove accadono i femminicidi, la famiglia che non dura, la famiglia che i giovani non vogliono. Quella è la famiglia che ha respirato l’individualismo e se ne è lasciata sfigurare, perdendo così la sua capacità di essere grembo ospitale. Difendere questa forma storica di famiglia non è il compito cui siamo chiamati.

La famiglia, nel nucleo pulsante, generoso e fecondo che ne costituisce la verità, è una diversità — in primis maschio e femmina — che genera ed è principio generativo, non solo a livello biologico. La relazione che caratterizza la famiglia (perché non è che le relazioni siano buone in sé) è quella generativa, non solo perché si generano i figli ma perché in famiglia si incorpora il limite, il fallimento, le ferite che ci si procurano a vicenda e le si trasforma in occasione di rinascita. Il perdono caratterizza la famiglia, anche in chiave laica, perché la vita sociale non esiste senza quella gratuità che eccede la logica del contratto e dell’occhio per occhio. La famiglia oggi è uno dei pochi luoghi dove si sperimenta la gratuità, il non fermarsi al dovuto: in famiglia “niente funziona”, ma proprio questo crea un dinamismo e si gettano semi di futuro.

La famiglia non è un nido ma un nodo. È un nodo non solo orizzontale fra i partner ma anche fra le generazioni, con chi ci ha preceduto e con chi ci seguirà. È il nodo di una rete più ampia, cui contribuisce e da cui ha sostegno. Senza comunità e senza un respiro oltre se stessa, la famiglia implode e si snatura, non sta in piedi. La famiglia potrà essere tanto più fedele a se stessa quanto più saprà evitare di chiudersi su se stessa, perché se si chiude implode. La famiglia non è una tana dove rifugiarsi, ma una dimora ospitale, un grembo accogliente. Lo dice anche la sua etimologia: faama è la casa che accoglie persone unite da legami di sangue ma non solo.

L’idea della porta blindata per proteggermi dal mondo o della porta spalancata perché il mondo entrando mi metta in movimento, sono oggi le due opzioni opposte tra cui scegliere, non c’è via di mezzo. Sicurezza e cura, dove sicurezza è “sine cura”, il “non mi preoccupo”, mentre la cura è “mi espongo”. Sono le due alternative a cui siamo di fronte e se scegliamo per la cura saremo anche più sicuri, mentre l’ossessione per la sicurezza trasformerà le paure in una profezia che si autoavvera. La sfida per la famiglia, anche sotto la pressione dei grandi cambiamenti sociali — fra cui l’invecchiamento della popolazione e il fenomeno della migrazione che non è un’emergenza ma una realtà ormai strutturale — è uno stimolo sano a interrogarsi su come la forma storica della famiglia oggi può cambiare per esser più fedele a se stessa.

La sfida è trovare delle forme sociali che siano in grado di custodire questo nucleo così complesso e pieno di limiti e al tempo stesso di grazia, forme nuove che ci facciano fare un passo sociale in avanti. Le forme di famiglia attualmente più comuni sono povere e impoverenti e la sfida dei migranti ci sprona al contrario a costruire forme più articolate e aperte, in cui l’alterità non sia minaccia ma ingrediente che mette in moto processi di rigenerazione e di rinnovamento. L’essere umano è limitato e lasciato a se stesso si ripete all’infinito: ciò che ci libera è qualcosa che viene da fuori di noi, l’altro. Un’alterità che ci interpella e nel nostro rispondere, cioè nella nostra assunzione di responsabilità, ci mette in movimento e ci tiene vivi.


Io apro la mia porta. Fra noi in famiglia: storie di integrazione”. È l'evento che Consorzio Farsi Prossimo e VITA organizzano il prossimo 1 dicembre al MUDEC di Milano, in collaborazione con Fondazione AVSI, Caritas Ambrosiana, Comune di Milano, Famiglie per l'Accoglienza, Mondo di Comunità e Famiglia, SPRAR e con il sostegno di Intesa Sanpaolo. L'evento si inquadra nel progetto FAMI "Fra Noi. Rete nazionale di accoglienza diffusa per un'autonomia possibile" co-finanziato dall'Unione Europea e dal Ministero dell'Interno.

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*Chiara Giaccardi è sociologa e antropologa dei media. Per leggere tutto il vocabolario dell'accoglienza, acquista il numero di VITA di novembre sul nostro store

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