Nel 2009 sono stati acquistati 45 milioni di ettari. Nel
decennio precedente erano stati appena 4 milioni. Obiettivo? Produrre cibo e biofuel da esportare Sono i nuovi esploratori del XXI secolo. Imprenditori, diplomatici e traders diventati protagonisti di un risiko contemporaneo che vede l’Africa al centro di nuove ambizioni planetarie. Con l’esplosione dei prezzi delle materie prime agricole sui mercati internazionali e la crisi ambientale, la sicurezza alimentare e quella energetica sono entrate di diritto nella top list delle priorità politico-economiche di Stati e multinazionali votati alla conquista di nuovi territori sparsi in Africa, Asia, America Latina. Ma a differenza dell’era coloniale, i seguaci di Livingstone non sono soltanto occidentali.
La complicità della Ue
Lo conferma un studio della Banca mondiale intitolato Rising Global Interest in Farmland : Can it yield sustainable and equitable benefits. Assieme agli Stati Uniti e all’Europa, Cina, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti sono i Paesi più attivi nel corsa all’oro “verde”. Una corsa frenetica che nel 2009 ha visto l’acquisto di oltre 45 milioni di ettari di terreni agricoli contro appena quattro milioni tra il 1998 e il 2008. Le transazioni sono principalmente destinate alla produzione di cibo (40%) e di biocarburanti (35%), un business dove il Congo-Brazzaville, l’Etiopia, il Sudan, il Mozambico, la Tanzania, il Ghana, la Namibia e il Camerun figurano tra i mercati più promettenti del continente africano. Un fenomeno che sta preoccupando la Banca mondiale che, dopo anni di lassismo, ha rimarcato, per voce della sua direttrice generale Ngozi Okojo-Iweala, «la necessità di rendere più trasparenti gli acquisti di terreni». Dopo le violenze esplose nel 2008 in una decina di Paesi africani colpiti dall’aumento vertiginoso dei prezzi dei beni alimentari, le organizzazioni non governative ambientaliste sono sul piede di guerra. Friends of the Earth (Amici della Terra) ha pubblicato il 31 agosto scorso un rapporto che punta il dito contro «una forma di neocolonialismo» alimentata negli ultimi anni anche grazie alla complicità dell’Unione Europea. «L’UE», sostiene Friends of the Earth, «ha adottato una strategia per combattere il cambiamento climatico che prevede entro il 2020 un utilizzo di carburanti verdi pari al 10% del combustibile totale impiegato nei trasporti».
I player italiani
Il rapporto passa in rassegna 11 Paesi in cui circa 5 milioni di ettari di terreni coltivabili sono sul punto di essere acquistati da compagnie straniere per produrre agrocarburanti destinati principalmente al mercato europeo. Tra loro ci sono due aziende italiane: Agroils (presente in Ghana) e Aviam (Mozambico), alle quali andrebbe associata la Green Waves, un gruppo finanziario basato in Italia che nel 2007 ha ottenuto dal governo del Benin il diritto di coltivare ogni anno 250mila ettari a girasole. Agroils e Aviam hanno invece gli occhi puntati sulla jatrofa, un vegetale che secondo i suoi promotori non entra in concorrenza con altri prodotti agricoli perché non commestibile e soprattutto perché coltivabile su terre aride spesso abbandonate da decenni dagli stessi contadini africani. Lo conferma a Vita Mauro Palladino, amministratore delegato di Aviam Lda. «Contrariamente ad altri vegetali come la canna da zucchero, il mais, la palma a olio, coltivare jatrofa non è una minaccia per la sicurezza alimentare del Mozambico. So che aziende come la nostra sono accusate di sottrarre
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