Formazione

La fabbrica delle idee

Un ricercatore che diventa imprenditore ha un approccio sostenibile: sta nella sua natura creativa e amante del rischio. Furio Honsell, rettore dell’università di Udine, racconta la sua innovazione

di Carlotta Jesi

«Se Galileo Galilei dovesse avviare l?astronomia moderna oggi, un unico telescopio non gli basterebbe. Dovrebbe immaginare di fare uno spin off che produca telescopi in serie. Ai miei ricercatori io lo dico sempre: per fare business, una buona idea non basta, serve cultura d?impresa». Parola di Furio Honsell, matematico, magnifico rettore dell?ateneo di Udine. I suoi ricercatori, tra l?altro, di spin off se ne intendono: nelle ultime edizioni del premio Innovazione – la gara tra le migliori idee di business germogliate nelle università italiane – hanno ottenuto due primi e un terzo posto. Con progetti ad alto impatto sociale che spaziano da un umanoide-traduttore nel linguaggio dei segni a vaccini personalizzati.

Studium: Innovazione uguale sostenibilità, rettore?
Furio Honsell: Assolutamente sì. La tipologia di impresa che emerge dall?idea di un ricercatore ha sempre come sfida la sostenibilità. L?idea di sostenibilità è in qualche modo connaturata alla coscienza del ricercatore e, soprattutto, alla sua consapevolezza dei rischi e delle potenzialità della scienza. È questa consapevolezza che ci spinge a rischiare in settori in cui le aziende non si lanciano.

Studium: Potrebbe farci qualche esempio?
Honsell: Uno dei nostri spin off si occupa di biodepurazione ed è basato sull?idea di usare microrganismi per la riduzione di emissioni in atmosfera o nell?acqua. Qualche altra impresa rischierebbe su un settore del genere prima che l?idea da cui partiamo sia per lo meno ingegnerizzata?

Studium: Ricercatori e imprenditori hanno motivazioni diverse?
Honsell: L?imprenditore classico che fa solo l?imprenditore ragiona solo in termini di ritorno economico. Il nostro obiettivo, un po? per l?idealismo stesso che spinge un laureato a fare il ricercatore, non è solo il guadagno. Osiamo di più, e a volte osiamo anche in maniera trasgressiva con idee che potrebbero mettere in crisi altri settori economici. Penso, per esempio, a uno spin off che si occupava di correzione per operazioni al laser in oculistica con tecnologie molto diverse da quelle in uso. In questo caso, lanciare l?impresa è stato molto difficile.

Studium: A proposito di lancio. Parliamo di fondi: pensa che l?università dovrebbe assumersi anche il ruolo di finanziatore di imprese nate al suo interno?
Honsell: L?università di Udine, tra finanziamenti e brevetti, per gli spin off spende circa 200mila euro l?anno. Ma oltre questa cifra non credo sia giusto andare: non possiamo sostituirci ai venture capitalist, anche per non violare le leggi della concorrenza. Il ruolo degli atenei deve essere quello di creare e promuovere lo spirito creativo. L?Italia è al terzo posto tra i paesi del mondo per pubblicazioni scientifiche, ma pubblicare non basta. Bisogna brevettare idee. Oltre a favorire l?invenzione e la brevettazione, il nostro ateneo ha creato una scuola di imprenditoria aperta a ricercatori e studenti, che ottengono crediti formativi, ma anche ad artigiani e piccoli imprenditori del territorio per avere il maggior impatto possibile.

Studium: Al di là dell?idea di business, che caratteristiche deve avere un team di ricercatori, studenti e professori aspiranti imprenditori?
Honsell: Essere sempre creativi, saper risolvere i problemi anche fuori dalla loro disciplina di studio. E poi avere un progetto chiaro in testa e la capacità di mettere a fuoco un obiettivo.

Studium: Secondo l?Economist, negli Stati Uniti gli studenti con buone idee di business ad alto impatto sociale sono considerati merce rara da valorizzare. Per loro si creano borse di studio, finanziamenti e gare di business plan dedicate. Quanto è lontana l?Italia?
Honsell: Il sistema italiano è più sano di quanto lo si dipinga. Stiamo attenti, poi, a non idealizzare singoli atenei come il Mit o come Harvard che si trovano in un?area geografica in cui operano almeno altri 40 atenei. Altrimenti poi, come ha fatto il governo con l?Istituto italiano di tecnologia di Genova, si creano nuove realtà invece di potenziare il sistema esistente.

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