Politica
La fabbrica dei guai
Tutti applaudono. Ma dagli studi dei sindacati emerge un quadro sconfortante. Lindotto pagherà una crisi pesantissima.
Se Atene piange, Sparta non ride. La Fiat forse è uscita, o meglio ha tamponato la crisi, il sistema industriale del Paese no di certo. Lo sanno gli industriali più assennati, che chiedono ai sindacati una specie di ?governo di salute pubblica? in vista della nuova stagione di rinnovi contrattuali, e lo sanno i sindacati che denunciano uno scenario da incubo, da Paese in declino. Entrambi non a caso chiedono al decreto sulla competitività all?esame del governo, ?soluzioni vere?.
Un?economia che, invece di progredire, arretra mese dopo mese è il quadro dipinto dai leader di Cgil, Cisl e Uil martedì 15 febbraio a Milano. La Cisl, per bocca di Savino Pezzotta, ha reso noto il suo rapporto annuale sull?industria italiana, preparato con cura e passione dal segretario confederale Giorgio Santini. Più di 430mila i lavoratori a rischio, 140mila coinvolti in cassa integrazione ordinaria o straordinaria: ben il 41,3% in più sul 2003. Le aziende in crisi sono 3.267, l?anno prima erano 2.500, 38% in più. Non più solo al Sud ma appunto anche nel triangolo industriale (Piemonte, Lombardia, Veneto), dove si inabissano sconfitte dalla concorrenza internazionale.
Il Piemonte in rosso
In Piemonte, poi, la situazione è particolarmente drammatica. Oltre 75mila i lavoratori coinvolti, 410 le aziende in crisi, 42mila i lavoratori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali. Di questo pianeta al collasso, la Fiat è naturalmente il sole nero. Sempre in Piemonte, dove la cassa integrazione straordinaria ha toccato il record di 40 milioni di ore, le aziende che ruotano attorno alla casa madre degli Agnelli sono circa 12mila (il 40% dell?indotto totale). Come nel 2002, ma con 20mila lavoratori in meno. E in Italia più di un milione di lavoratori è legato direttamente o indirettamente alla industria torinese.
Del resto, se l?apertura in Iran di uno stabilimento Fiat ha gettato nei dipendenti profondo sconcerto (immotivato secondo il Lingotto, malgrado la produzione di auto all?estero abbia ormai sorpassato quella italiana), le aziende e i lavoratori dell?indotto non se la passano meglio e dovranno giocoforza smarcarsi dalla monocultura industriale e pensare alle ricette dell?internazionalizzazione.
Il rischio dell?indotto
Fiat torna italiana, dunque, ma l?indotto rischia di passare in mano agli stranieri, come denuncia in un altro rapporto la Fiom-Cgil, il sindacato dei metalmeccanici che da mesi esprime serie preoccupazioni sul piano di ristrutturazione dell?ad di Fiat Auto, Herbert Demel. Dei 1.600 milioni di euro che l?azienda vuole risparmiare nei prossimi tre anni, la metà (800 milioni) deve arrivare dai materiali e dalla componentistica. Spiega Demel: occorrerà sempre più spesso fare la spesa di componenti auto all?estero, anche fuori dall?Europa.
Ma anche se il 50% delle vendite dell?indotto vanno a clienti non Fiat, nessuna azienda può privarsi di quote di mercato così consistenti soprattutto perché si tratta di piccole e medie imprese spesso non concorrenziali su grandi mercati. Perciò dilaga una buona dose di pessimismo fra le pmi piemontesi. Timori registrati da una recente indagine di Confartigianato: l?intenzione delle imprese ad assumere personale è in caduta libera
(- 6%), mentre gli ordinativi languono
(-10%). Chi ha la forza necessaria ha già da tempo intrapreso il cammino delle vendite all?estero, come dimostrano i dati dell?Unione industriale di Torino. Il trend dell?export dell?automotive è in costante ascesa: +11,8% fra gennaio-settembre 2003 e gennaio-settembre 2004.
L?organizzazione delle Olimpiadi invernali 2006 appare poi come un salvagente solo temporaneo, ultimo regalo con sentite scuse dell?Avvocato. Finiti i Giochi, si vedranno gli effetti più duri.
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