Welfare

La fabbrica dei depressi

Cosa c'è dietro l'ultimo allarme lanciato dall'Oms

di Marco Dotti

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità
il male di vivere sarà presto il primo problema sanitario al mondo. Ma per Philippe Pignarre dietro a tutto questo battage c’è
un grande inganno.
Che ha deciso di rivelare
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la depressione si candida a diventare il primo problema sanitario, sopravanzando anche le malattie cardiovascolari. Il fenomeno appare dunque dilagante, epidemico. Che cosa è successo? Per Philippe Pignarre, a lungo responsabile della comunicazione presso la casa farmaceutica Delagrande, oggi editore e autore de L’industria della depressione (Bollati Boringhieri), appena presentato al festival di Mantova, se si vogliono comprendere davvero i motivi di questa epidemia occorre partire dai metodi di cura, più che dalle cause.
Vita: Ogni giorno, tre italiani su cento assumono antidepressivi. Siamo diventati tutti depressi?
Philippe Pignarre: La depressione è la “malattia” che si sta diffondendo con più rapidità nel mondo. In una società ossessionata dal successo e dalla riuscita individuale, il rifiuto dei valori collettivi e il disperdersi di ogni legame, la perdita di energia, la tristezza hanno qualcosa di insopportabile. Probabilmente, sotto il termine “depressione” classifichiamo tutta una serie di difficoltà, di problemi, di dubbi, che prima non eravamo abituati a collegare tra loro, arbitrariamente o meno.
Vita:In questo processo il marketing e i nuovi modelli di comunicazione c’entrano qualcosa?
Pignarre: Si inganna la gente se le si fa credere che si sia capaci di guardare “dentro la testa” dei pazienti. La questione è che ogni genere di problema mentale (la schizofrenia, per esempio) si può cogliere solo ascoltando il paziente e la sua famiglia e, dopo l’ascolto, esprimendo una diagnosi. Il problema è che si avanzano ipotesi autonome sul funzionamente delle persone depresse o schizofreniche. Queste ipotesi vengono elaborate in funzione di ciò che conosciamo dell’azione delle varie terapie. Quindi è il farmaco, non la persona la pietra angolare del ragionamento medico! Sappiamo, ad esempio, che gli antidepressivi agiscono sulla seratonina e, quindi, si fa in modo di elaborare una “ipotesi seratoninergica” della depressione. Sappiamo che i neurolettici usati per il trattamento della schizofrenia agiscono su una sostanza in circolo nel cervello, la dopamina. Dunque si elabora una teoria in base alla quale si dice che vi sarebbero pazienti con problemi di seratonina o dopamina. Si inverte il ragionamento scientifico, e quello tra causa e effetto. Non è certo perché non dormite bene che il vostro cervello manca di qualche sostanza naturale e risponde agli stimoli delle benzodiazepine (usate come sonnifero). I farmaci psicotropi sono buttati sul mercato con la velocità con la quale si formulano ipotesi come quelle a cui ho fatto cenno. E si spende molto in pubblicità conferendo ai farmaci un’aura di legittimità. Così facendo si rinsalda la fiducia dei medici nella loro capacità taumaturgica. Alcuni ricercatori arrivano ad affermare che gli antidepressivi altro non sarebbero che placebo. Ma la pubblicità e la fiducia che li circondano aiutano a fare la differenza?
Vita:Che differenza c’è tra gli antidepressivi e tutti gli altri farmaci?
Pignarre: In molte malattie, si è riusciti a isolare una costante biologica che è diventata anormale. L’obiettivo della cura è quello di ristabilire la sua normalità. Questa costante biologica non è per forza di cose la “causa” esatta e ultima della malattia, ma permette di avvicinarsi ad essa. Permette anche di inventare rimedi biologicamente fondati. Nel caso della psichiatria, tutto funziona diversamente: è solo in rapporto a segni visibili senza esami diagnostici di laboratorio che si formulano diagnosi. Le cure sono scoperte un po’ a caso, ma non esiste alcun test biologico che permetta di affermare «questa persona ha la tendenza a diventare depressa o schizofrenica». Non c’è alcun marcatore biologico, e questo produce una differenza enorme.
Vita: I bambini e gli anziani sono tra i soggetti più sensibili dal punto di vista di questa crescita di consumo. Come si spiega?
Pignarre: La questione dei ragazzi è complessa. Soltanto gli americani non hanno esitato a medicalizzare completamente il cosiddetto disturbo dell’attenzione, l’iperattività, proponendo di prescrivere farmaci in quantità enormi. La tradizione europea è più cauta : preferiamo affidare i ragazzi agli psicologi, salvo poi nei casi gravi ricorrere – con una certa ragione – ai farmaci. Con gli anziani, invece, la prudenza viene meno ovunque, anche in Europa. La quantità di medicine consumate nelle case di riposo è preoccupante. Vengono prescritti massicciamente neurolettici (normalmente riservati ai pazienti che soffrono di gravi turbe psichiatriche, come la schizofrenia) a persone anziane al solo fine di farle calmare e dormire in continuazione. Non provoca alcuna preoccupazione il fatto, d’altronde molto noto, che questi farmaci provocano problemi di memoria, di parola etc. Meno gente avete da sorvegliare, meno personale avrete da impiegare. Il farmaco risolve tanti problemi, anche di welfare e di bilancio. Ma è un crimine contro gli anziani.
Vita: La scuola e gli antidepressivi: che legame c’è?
Pignarre: Molte istituzioni producono depressione: certe imprese dove si sviluppano tecniche di gestione del personale che provocano afflizione, per esempio. Quando trasferiamo persone, quando cerchiamo di farle dimettere “spontaneamente” solo perché si ha timore di licenziarle. Questi individui provano “depressione” sentendosi perseguitati. Ma non è di antidepressivi che hanno bisogno, bensì di cura e di attenzioni più generali. Ma anche nelle famiglie in crisi si sta sviluppando l’idea che, finito l’amore, uno possa distruggere psicologicamente l’altro. Nella scuola, se l’accento è posto sulla competitività e la concorrenza in termini squalificanti e non inclusivi, allora gli effetti non saranno molto diversi. Ma che cosa dovremmo dedurne? Che sono tutti dei depressi? Possiamo farlo, certo, ma non avremo prodotto un solo pensiero critico sui procedimenti di esclusione fabbricati dalla nostra società.


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