Non profit

La Don Gnocchi, un laboratorio della tecno solidarietà

Viaggio nel polo tecnologico della fondazione

di Sara De Carli

Cartucce transdermiche, teleriabilitazione, maglietta interattiva computerizzata: sono alcuni dei risultati ottenuti nei laboratori
di un’istituzione nata
non per assistere, ma per riabilitare. Intervista a
Furio Gramatica, il fisico
che porta brevetti
alla Don Gnocchi srl
Nel suo studio campeggia una foto di Robert Kennedy con questa frase: «C’è chi guarda alle cose come sono e si chiede “Perché?”. Io penso a come potrebbero essere e mi chiedo “Perché no?”». Furio Gramatica è un fisico nucleare, ha 45 anni ed è il responsabile del Polo tecnologico della Fondazione don Carlo Gnocchi. Letta qui dentro, quella di Kennedy suona un po’ come la versione pop, easy e “american dream” di quello che per don Carlo Gnocchi fu il principio d’azione, granitico ed esigente, lasciato poi in eredità ai suoi: non limitarsi ad assistere solo la vita che c’è, ma inventare nuove strade per «recuperare la vita dove non c’è, ma ci potrebbe essere».
Per questo l’innovazione è scritta nel dna della Fondazione don Carlo Gnocchi. Cinquant’anni fa si chiamava riabilitazione, in un tempo in cui tutti pensavano solo all’assistenza; oggi significa che la riabilitazione deve essere innervata dalla sperimentazione e dalla ricerca, nanotecologie incluse. «Cosa direbbe don Gnocchi?», replica Gramatica alla mia faccia stupita. «Muovetevi! Lui voleva che venissero usati tutti i mezzi per aiutare i suoi mutilatini. Questo imperativo va riattualizzato costantemente, fare la conta di quali sono “tutti” i mezzi è un nostro preciso dovere di mission».

Fra stampelle e nanotecnologie
La Fondazione don Carlo Gnocchi, oggi, si occupa di disabilità congenite ed acquisite, di anziani non autosufficienti, persone in stato vegetativo, pazienti di ogni età che necessitano di riabilitazione cardiologica, neurologica, ortopedica, respiratoria. Nei suoi centri, sparsi in tutta Italia, entrano ogni giorno 9mila pazienti. Due di questi centri sono riconosciuti come Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico: luoghi dove si fa ricerca di eccellenza e, soprattutto, traghettabile in tempi necessariamente brevi dal laboratorio al letto del paziente.
La specialità della don Gnocchi sono gli ausili, secondo una linea voluta da don Carlo in persona: i suoi furono i primi ospedali ad avere al proprio interno un centro di bioingegneria. In principio furono stampelle e carrozzine, oggi sono l’interfaccia cervello/computer (BCI), la maglietta MagIC e le cartucce transdermiche. «Una sublimazione del termine ausilio», dice Gramatica, «nel senso che oggi significa davvero aiuto. La ricerca tecnologica vista come elemento di servizio alla clinica». Ed è su questo che lavora il Polo tecnologico.
MagIC, acronimo di maglietta interattiva computerizzata, è una canottiera con sensori e conduttori tessuti all’interno che rileva elettrocardiogramma completo del soggetto, ritmo respiratorio, misura i movimenti e dà informazioni sulla postura. Il Polo tecnologico ci ha lavorato insieme ad altri partner internazionali, l’ha brevettata e ora la Don Gnocchi Sistemi Srl (la fondazione ha una società collegata da più di vent’anni) sta studiandone la commercializzazione. Possibili ambiti? La teleriabilitazione, il telemonitoraggio dei pazienti cronici e prevenzione della morte in culla.
Poi ci sono le cartucce transdermiche: piccoli serbatoi di farmaci che vengono rilasciati nello strato intermedio della pelle, l’epidermide, attraverso una schiera di microaghi lunghi non più di 300 micron. Se realizzato con successo, sarà un nuovo metodo di somministrazione di farmaci, non invasivo, indolore, a flusso continuo e programmabile. O, ancora, l’interfaccia cervello-computer (BCI): consente a pazienti con malattie neurodegenerative di comunicare e controllare un ambiente circostante (per esempio abbassare le tapparelle in una casa domotica, o muovere la carrozzina) solo pensando. Sembra fantascienza, invece è già realtà.
Il bluetooth per i bisogni dell’uomo
Fino al 2007 la Don Gnocchi ha fatto ricerca, brevettato e costruito ausili dentro il suo centro di bioingegneria, in quella che Gramatica definisce una sorta di «Nasa». Un modello che oggi «non ha più senso»: molto più efficace «creare opportune alleanze, inserirsi in un network europeo». Oggi la scommessa è di «essere un integratore culturale, mettere in comunicazione i bisogni sociosanitari che noi abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni con il mondo delle alte tecnologie, dove c’è la ricerca ma anche l’industria», spiega.
Il Polo tecnologico, insomma, sarebbe come una schedina bluetooth applicata alla galassia dei bisogni che vengono a galla dentro la don Gnocchi e li fa parlare con altri mondi, culturalmente molto lontani da qui. È questa la peculiarità della don Gnocchi: rappresentare alla ricerca, all’industria e al mercato l’uomo con i suoi bisogni, ma visto sempre in maniera intergrale, come voleva don Carlo. Gramatica la dice in termini hi-tech: «Non è un push di tecnologia, bisogna avere le orecchie tese per un pull dai bisogni».
Puntando, e questa è la novità, alla filiera completa. «Per molto tempo abbiamo ragionato secondo la logica problema/soluzione, all’interno dei nostri due centri Irccs. Questo serve a verificare un prototipo, stop. Prima cioè la ricerca si fermava all’applicazione interna, mentre oggi è essenziale ragionare anche sull’exploitation, di quel prototipo bisogna poi studiare la realizzabilità industriale», spiega Gramatica. Per una questione di sostenibilità economica, ma anche perché «il vaglio del mercato porta la soluzione qui dentro come in mille altri centri. Allora non aiuti più solo le persone di cui conosci il viso, ma tutti quelli che hanno quel problema. Che è volare un po’ più alto».


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