Welfare

La diversità? Una leva competitiva per le aziende

Presentato il white paper "Diversity & Inclusion" in occasione della tavola rotonda promossa da The Adecco Group e Fondazione Adecco per le Pari Opportunità. Nel documento tutti i numeri che dimostrano come le differenze facciano bene (anche) al business

di Redazione

Può l’inclusione delle diversità trasformarsi in una leva competitiva per le aziende? La risposta che è arrivata nel quadro di un partecipato convegno (nella foto un momento dei lavori condotti del Direttore di Vita Stefano Arduini) organizzato a Milano da The Adecco Group e Fondazione Adecco per le pari opportunità nell’ambito della Diversity week 2019 è un “sì” convinto e argomentato.
Il punto di partenza su cui si sono confrontati l’Eurodeputato e per otto anni Assessore alle Politiche Sociali a Milano Pierfrancesco Majorino, il Segretario Generale di Fondazione Adecco per le Pari Opportunità Francesco Reale, Monica Magri HR & Organization Director Adecco Group in Italia, la Direttrice delle Risorse Umane di Carrefour Paola Accornero, la Responsabile Sostenibilità di Uniqlo Maria Samoto le Dous e Laura Iucci, Responsabile delle Partnership col settore privato di Unhcr Italia, Grecia e Portogallo è stato il white paper “Diversity & Inclusion- una nuova leva competitiva aziendale (il documento è scaricabile gratuitamente dal sito della Fondazione Adecco).

Con “Diversity & Inclusion” si definisce una strategia di management finalizzata a una cultura aziendale inclusiva, basata sulla valorizzazione delle differenze individuali

Con “Diversity” – si spiega nel documento – «ci si riferisce all’impegno nel riconoscere e apprezzare tutti gli elementi che rendono gli individui unici. Descrive le differenze individuali e di gruppo, che includono età, nazionalità, etnia, genere, orientamento sessuale, status socio-economico, affiliazioni culturali, politiche, religiose, esperienze professionali, stili di vita».

«In ambito lavorativo, con “Diversity & Inclusion” si definisce una strategia di management finalizzata a una cultura aziendale inclusiva, basata sulla valorizzazione delle differenze individuali. Pensare che l’attuazione di politiche di Diversity & Inclusion in azienda sia solo un dovere morale è un grosso errore: diversità e inclusione giocano un ruolo sempre più importante dal punto di vista economico. L’inclusione rappresenta un vero e proprio asset di crescita strategico per le aziende. 
I brand inclusivi sono ad esempio preferiti dal mercato finale.
 Una ricerca condotta da Focus Management in collaborazione con l’associazione Diversity ha messo in luce come il 51% dei consumatori scelga con convinzione brand inclusivi e un ulteriore 23% nel percorso di scelta preferisca brand che investono sulla D&I: complessivamente parliamo di tre italiani su quattro.

Più nello specifico, i marchi percepiti come inclusivi riscuotono un marcato passaparola positivo. Al contrario, sono invece tantissime le persone che criticano i brand percepiti come poco attenti al tema. Il mercato premia dunque i brand che hanno il “coraggio” di parlare di diversità e inclusione conferendo loro impatti positivi anche sui ricavi. Valori che a tendere si traducono in migliori prospettive economiche per le aziende e quindi in migliori giudizi da parte degli analisti nanziari e degli investitori istituzionali. Il risultato finale è quindi un potenziale di apprezzamento per i titoli delle società quotate più attente a Diversity & Inclusion superiore a quello del mercato finanziario nel suo complesso. Da queste considerazioni nasce l’idea di dedicare al tema della Diversity & Inclusion questo whitepaper. Si tratta di un argomento non più trascurabile per qualsiasi azienda, chiamata a definire strategie che le permettano di mantenere la competitività anche attraverso la leva della Diversity e della Inclusion».

Quanto la diversità (pensiamo agli immigrati, alle persone diversamente abili, ma anche alle diversità di genere, di gusto, di propensione e così via) abbia “conquistato” le aziende profit anche in Italia, malgrado una narrazione pubblica che vedeva nel diverso un pericolo da cui guardarsi è stato evidente dai vari interventi che si sono succeduti che potete rileggere qui.

L'Eurodeputato Pierfrancesco Majorino nel corso del suo intervento ha sottolineato come il divario salariale di genere sia la prima questione di cui ci si deve occupare in ambito diversità e inclusione: in una società plurale è fondamentale scegliere la valorizzazione delle differenze.

All’incontro hanno preso parte (foto) anche due ragazzi stranieri Yuma Muhamed (addetto alla panificazione in Carrefour Italia) e Famara Sanyang (addetto alle vendite in Uniqlo), entrambi rifugiati, che hanno raccontato la loro esperienza di formazione all’interno del progetto Safe In promosso da Fondazione Adecco.

Nel corso del convegno si sono succeduti gli interventi di tre aziende, The Adecco Group, Carrefour Italia, Uniqlo e dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Il primo contributo è stato di Monica Magri che ha evidenziato come «l’obiettivo è diffondere la consapevolezza che diversità è valore. L’investimento in queste tematiche amplia il pubblico di riferimento, alimenta l’interesse verso l’azienda e crea relazioni valoriali di grande impatto e durata»

Paola Accornero ha raccontato di come Carrefour Italia abbia fatto della diversità una leva per scovare e valorizzare talenti all'interno dell'azienda.

Uniqlo, azienda giapponese che disegna, produce e vende abbigliamento ha da sempre dimostrato attenzione al cambiamento sociale. Non solo, Maria Samoto le Dous, responsabile sostenibilità, ha sottolineato di fare parte di un gruppo attento alla diversity e questa attenzione ha portato un miglioramento nei rapporti all'interno del team di lavoro. Dal 2007 Uniqlo ha donato 25 milioni di capi ai rifugiati di 48 Paesi in cui l’agenzia Unhcr è presente.

In conclusione della tavola rotonda Laura Iucci, Responsabile delle Partnership col settore privato di Unhcr Italia, Grecia e Portogallo, dopo aver ricordato chi sono i rifugiati ha aggiunto: «Collaboriamo con Fondazione Adecco per l'inserimento lavorativo dei rifugiati, perché l'inclusione passa attraverso il lavoro e l'integrazione economica è un requisito fondamentale per quella sociale».

A chiudere il dibattito è stato infine il fondatore di Vita Riccardo Bonacina. Una chiosa in quattro punti:

1. Si è partiti dalla collaborazione tra profit e non profit dentro Adecco (Fondazione e unit business) e fuori sulle progettualità per l'inclusione delle diversità. Ecco questo mi sembra il classico esempio del compito che ci tocca in questi anni, quello di ricongiungere ciò che il secolo scorso aveva separato. Profit e Non profit, Pubblico e Privato, Impresa e sociale, Finanza e Etica e così via. Non ci sarà sviluppo sostenibile e inclusivo se non sapremo riconnettere queste dicotomie false.

2. Il lavoro come grande strumento di integrazione e inclusione, da qui il grande ruolo delle imprese. “Prima il lavoro” mi sembra debba essere lo slogan del futuro prossimo. Perché solo in lavoro include veramente.

3. Diversità come leva competitiva. È una nozione base di discipline come l'antropologia, è solo nell'incontro con il diverso che la specie evolve, solo dall'ibridazione nasce l'innovazione. Ma non è un automatismo e una magia. È un percorso che prevede formazione e tant'altro.

4. Fiducia. La fiducia è un bene necessario alla coesione sociale e allo stesso mercato, ma è un bene che il mercato non produce. Al contrario la consuma. Una società inclusiva, un'azienda inclusiva creano fiducia, fanno crescere questo bene essenziale alla vita sociale ed economica.

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