Formazione

La dispersione si vince di mattina

Dal punto di vista scolastico potremmo sintetizzare il tema dell’abbandono con una domanda: sono i ragazzi che si devono adattare alla scuola o la scuola deve essere “fatta per i ragazzi”?

di Giovanni Biondi

Parliamo del fallimento della scuola anche se quando un ragazzo abbandona gli studi, non riesce più a proseguire, certamente le cause sono numerose
e non vanno imputate tutte alla scuola. La scuola non può risolvere tutti i problemi che derivano ai ragazzi dalla disgregazione delle famiglie o dall’ambiente sociale nel quale vivono ma anche la scuola ha le sue responsabilità.
 Dal punto di vista scolastico potremmo sintetizzare il tema dell’abbandono con una domanda: sono i ragazzi che si devono adattare alla scuola o la scuola deve essere “fatta per i ragazzi”?

Don Milani ormai molti anni fa parlava di “Pierino figlio del dottore”, motivato e preparato per la scuola: un futuro liceale. La critica che Don Milani faceva alla scuola era di essere costruita per i figli di una classe sociale, di chiedere in sostanza allo studente di adattarsi alla scuola.

Oggi la realtà è molto più complessa, più articolata. Lo scenario oggi è diverso: abbiamo ancora i licei anche di “buona qualità” ma forse non abbiamo più “i liceali”. L’incapacità di adattarsi alla scuola non deriva solo dalle condizioni socio economiche di provenienza ma dal fatto che i ragazzi che arrivano a scuola sono diversi dai loro coetanei di 10 anni fa mentre la scuola è rimasta uguale a se stessa. Questa generazione di studenti, e gli insegnanti lo sanno bene, è molto diversa da quelle precedenti.

Le ragioni di questa diversità sono state analizzate da vari punti di vista: ne sono state evidenziate le diverse strategie cognitive, la propensione ad apprendere attraverso immagini, la capacità sorprendente di usare un videogioco senza averlo mai visto prima e senza l’aiuto di nessun manuale che non saprebbero neppure consultare, l’abitudine ad essere immersi in un mondo digitale di cui comprendono facilmente ed immediatamente i meccanismi. Non che questo significhi che i ragazzi nascono con delle “competenze digitali” perché in realtà usano le tecnologie in modo “meccanico” ed inconsapevole. Ma imparano facendo, interagendo con i contenuti, un meccanismo che rende gli errori funzionali e necessari per apprendere.

La difficoltà di adattarsi alla scuola con il suo linguaggio, i suoi tempi e i suoi spazi, nasce quindi da molteplici fattori che attraversano tutti i ceti sociali. E la dispersione scolastica in Italia è molto al di sopra della media europea nonostante tutti i fondi europei spesi nelle regioni meridionali dove questo fenomeno è più accentuato. Ma come spendono i fondi le scuole? Soprattutto in una miriade di attività pomeridiane, sportive, musicali, artistiche dai titoli fantasiosi: pallavvolando, baskettando, fotografando etc… Tutte attività certamente interessanti e di grande appeal per i ragazzi. Il problema però è che gli studenti abbandonano la scuola per gli insuccessi “del mattino”, non perché giocano male a basket o fanno cattive fotografie.

Ci sono scuole che in questa girandola di attività hanno attivato anche 30-40 progetti in un solo anno scolastico. Una frammentazione di iniziative, alimentata anche dalle percentuali di fondi che finiscono a dirigenti ed insegnanti, che lascia però intatta la “scuola del mattino”, quella che appunto chiede agli studenti di adattarsi ad un modello rimasto sostanzialmente identico a se stesso.

Non si può aggredire il fenomeno dell’abbandono scolastico senza toccare i metodi, i tempi, gli spazi e gli strumenti della didattica. È da lì che nasce il fallimento scolastico. Dall’incapacità della scuola di trasformare il proprio linguaggio, i metodi e gli ambienti per cercare di adattarsi ad una nuova generazione di studenti, per cercare di trasformare in opportunità, in alleato il grande sviluppo digitale che ha ormai radicalmente rivoluzionato tutti i settori della nostra società.

Ma cercare di fare una scuola per gli studenti richiede agli insegnanti prima di tutto di uscire da una routine, di mette- re in discussione anche le proprie competenze, di accettare la sfida del cambiamento e di scendere dalla cattedra. Purtroppo si ha la sensazione, soprattutto all’inizio di ogni anno scolastico, che la scuola sia fatta soprattutto per gli insegnanti, che la qualità dei processi educativi derivi da un problema occupazionale.

Questa centralità dell’insegnante sullo studente emerge in modo stridente con la valutazione: lo studente non studia, non risponde, non si adatta alle richieste dell’insegnante e viene bocciato ma guai a dare i voti agli insegnanti. Ci sono ministri che hanno dovuto lasciare il loro posto per aver toccato questo tema. Una scuola statica, ingessata che non riesca a trasformare il proprio linguaggio, il proprio modo di lavorare per intercettare una nuova generazione di studenti ma anche per corrispondere ad una società radicalmente trasformata, è destinata ad uscire di scena, a perdere progressivamente il monopolio della formazione.

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