Formazione
La dispersione scolastica? È un appello al cambiamento della scuola
I nuovi dati presentati dal Miur sulla dispersione scolastica, le linee operative elaborate dalla Cabina di regia, la recente indagine di Tuttoscuola che quantifica in 27 miliardi in dieci anni il costo dei drop out. Un'esperta smonta alcune semplificazioni di troppo e spiega perché la dispersione scolastica dovrebbe stare al centro della campagna elettorale
I nuovi dati del Ministero dell'Istruzione sulla dispersione scolastica hanno riacceso i riflettori su questa grande emergenza educativa. È sempre un bene quando questo accade ed è auspicabile che il tema entri da protagonista nella campagna elettorale. È importante non sprecare l'occasione per guardare con attenzione dentro ai dati e trarne preziose indicazioni sulla natura complessa del fenomeno, sul suo trend e sui possibili strumenti di contrasto, smontando qualche semplificazione di troppo.
1) Non c'è un boom della dispersione scolastica in Italia
Gli "Early School Leavers" (definizione europea) sono i 15-24enni che hanno abbandonato gli studi prima del raggiungimento dell'obbligo scolastico (in Italia fissato ai 16 anni) o dopo l’età dell'obbligo, ma senza conseguire un titolo di studio valido (qualifica professionale o persino la licenza media). In termini assoluti e relativi, questi ragazzi, i cosiddetti "dispersi", sono sempre di meno. Diminuisce la media italiana e diminuisce in molte regioni, anche al Sud, dove da sempre il fenomeno è più forte.
2) La dispersione scolastica è ancora una emergenza nazionale
È ancora un emergenza nazionale perché siamo ancora lontani dall'obiettivo europeo che fissa al 10% il limite massimo di "Early School Leavers": la media nazionale è il 13,8%. E anche perché è molto forte la disuguaglianza tra regioni e territori. Il fenomeno infatti si concentra nelle aree di maggiore esclusione economica e sociale e con più forte emergenza criminale. Coinvolge fino a un terzo dei ragazzi in alcuni quartieri poveri delle grandi metropoli del Mezzogiorno. Riguarda ormai soprattutto la terza media e il biennio delle scuole secondarie superiori. I ragazzi a rischio provengono da famiglie fragili e hanno una storia scolastica accidentata (assenze, conflitti, bocciature). In totale si stimano oltre 130mila ragazzi a rischio dispersione: un grande spreco di risorse e di talento e un’ipoteca sul futuro, perché chi possiede bassi livelli di istruzione è più esposto alla disoccupazione, ai cattivi stili di vita, all'illegalità, allo sfruttamento e certamente possiede meno strumenti per esercitare la cittadinanza. E ha più probabilità di formare una nuova famiglia povera e con povertà di istruzione, in un circolo vizioso intergenerazionale.
3) Il fallimento formativo non è la dispersione scolastica
Abbiamo 112mila ragazzi che abbandonano la scuola superiore a cui sono iscritti prima del diploma. È un dato molto significativo, ma per fortuna non coincide con la dispersione vera e propria. Molti ragazzi, infatti, interrompono il percorso al termine o in corso di anno per iscriversi a un'altra scuola, per cambiare città, oppure per passare alla formazione professionale regionale. A volte il sistema di rilevazione non riesce a seguirne i movimenti, per cui se ne perdono le tracce. È importante distinguere questi due fenomeni, perché gli abbandoni in molti casi portano a un ritorno alla scuola o alla formazione professionale, anche dopo un incidente di percorso. E questa è senz’altro una buona notizia.
4) Lotta alla dispersione: non siamo all’anno zero
È dai primi anni ’90 che un vasto movimento di scuole, istituzioni pubbliche e Terzo settore si batte sul campo per prevenire la dispersione e per riportare i ragazzi dentro al sistema formativo. Vi sono ormai delle forti evidenze su cosa funziona bene: un giusto mix tra reti territoriali forti tra scuola ed extra-scuola, attenzione precoce alle fragilità (BES e studenti migranti, soprattutto), modello di scuola inclusiva e percorsi di seconda opportunità per chi ha abbandonato. Le nuove linee giuda della Cabina di regia contro la dispersione scolastica offrono una traccia per continuare l’impegno e per focalizzare le nuove emergenti necessità.
5) Il fallimento formativo chiama la scuola al cambiamento
Gli abbandoni lungo il percorso nei diversi territori e indirizzi di scuola sono un dato importante, che racconta, ad esempio, del diverso grado di inclusività delle scuole e delle classi; del peso enorme delle bocciature sul percorso dei ragazzi; della necessità di orientare meglio la loro scelta iniziale; dell'importanza di avere un sistema di formazione professionale come alternativa valida alla scuola. Una fortuna, quest’ultima, che non tocca ancora molte regioni italiane. Serve quindi una spinta più forte al cambiamento anche dentro ai percorsi di istruzione di secondo grado, per provare ovunque a innovare per includere.
Questi cinque punti rafforzano la necessità di introdurre il tema della dispersione scolastica e del fallimento formativo nella campagna elettorale nazionale e in quelle regionali e locali. Per continuare con più forza la battaglia contro la dispersione vera e propria. Per rilanciare e riformare la formazione professionale delle regioni. E per sostenere al meglio la spinta al cambiamento della scuola, che non può fermarsi, anzi, deve finalmente accelerare e prendere un diverso passo, soprattutto nei percorsi di istruzione secondaria.
Giulia Tosoni è consulente per le politiche per l’istruzione. Ha collaborato con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, attualmente con il Comune di Milano. Insieme a Marco Rossi Doria ha scritto il libro "La scuola è mondo” (Ed. Gruppo Abele, 2015). Foto REMO CASILLI/AG.SINTESI
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