Economia

La differenza è un valore e non sta solo nella partita Iva

Cooperative nel mirino. Il punto di vista di Johnny Dotti

di Francesco Maggio

Johnny Dotti, presidente del Consorzio Gino Mattarelli, il più grande consorzio italiano di cooperative sociali, segue con molta apprensione la bufera che sta investendo oggi il mondo cooperativo. Ma ha le idee molto chiare su come uscirne. E&F: Presidente, come può l?impresa cooperativa riconquistare quel dna ?etico? che finora sembrava gli appartenesse quasi per definizione? Johnny Dotti: Ripartendo dai bisogni delle persone che non vanno mai dati per scontati. I bisogni del 2006 non sono quelli del 1980 e quelli del 1980 non erano gli stessi di fine Ottocento. E poi il movimento cooperativo deve smettere di considerarsi una corporazione pura che, come tale, finisce per risultare impermeabile a ogni giudizio critico e a ogni valutazione. Questo porta ai disastri. Il valore della cooperazione è quello della cooperazione in quanto tale e non della partita Iva cooperativa. Bisogna chiedersi: ha un senso in un mondo competitivo parlare della competizione interpretata come cooperazione? E&F: Secondo lei? Dotti: La questione cruciale è che non si possono utilizzare determinati metodi e strumenti immaginando che comunque il ?buon? fine è garantito. La cooperazione ha dei metodi e degli strumenti che sono la partecipazione, la valorizzazione delle persone, la distribuzione del valore, la costruzione di meccanismi lenti ma costanti di acquisizione di capitale. Questi sono meccanismi diversi da altri meccanismi di mercato. Io non sto dicendo che siano migliori o peggiori, ma sono diversi. Io sostengo che una quota di cooperazione nel mondo delle imprese è importante. In questi mesi abbiamo sentito che il mondo cooperativo ha bisogno di una banca. Non è affatto vero, il mondo cooperativo le banche le ha e si chiamano Bcc. E&F: Insomma, ci sono dei confini che non devono essere superati per marcare un?identità?. Dotti: Esatto. Ed è questo ciò che rende possibile il dialogo con il capitalismo ?altro?. Ci sono cose e circostanze per le quali è utile massimizzare il profitto e la velocità. Ma per altre no. Quando parliamo, per esempio, di beni comuni, starei molto attento a ragionare in termini di massimizzazione monetaria. Su questo fronte il movimento cooperativo è importante. E&F: Quali sono oggi i bisogni che il mondo cooperativo può soddisfare meglio di altri? Dotti: Ne dico uno: penso alle mutue assicurative, il problema della non autosufficienza che è trasversale alle classi sociali. C?è bisogno di sistemi mutualistici. Perché le cooperative non riescono a dire nulla in proposito e si mettono a rincorrere la Bnl? Così non va. In Italia ci sono oltre cinque milioni di partite Iva, chi sta facendo loro proposte di copertura previdenziale? Solo il sistema privatistico. E&F: Come va riqualificato il rapporto tra cooperative e politica? Dotti: Noi siamo ancora nella fase finale di un impero che prevedeva le cinghie di trasmissione. Il punto cruciale è che la società civile dal dopoguerra in Italia non ha più avuto autonomia. Oggi si apre una stagione in cui forse si può seriamente tornare a pensare che ci sono mondi distinti, che non vuol dire separati, che hanno un?autonomia rispetto al governo del bene comune. Il bene comune non coincide con lo Stato. Noi però siamo, ancora, dentro questo finale. Mi auguro che emerga un?autonomia reale che esprima l?autorganizzazione dei cittadini, perché la cooperazione non è altro che autorganizzazione dei cittadini sotto forma imprenditoriale. I miei amici del terzo settore sono tutti lì che spingono per andare in Parlamento come se nell?immaginario entrare in Parlamento significasse cambiare le regole. Non è più così. La +Dai -Versi l?ha organizzata Vita, la legge sull?impresa sociale è nata fuori dal Parlamento. In una società complessa c?è bisogno di avere a che fare con delle pluralità di interlocutori, e lì che rinasce l?etica, che riconosce delle distinzioni di missione dentro a un sistema di potere che si confronta. Ma fin quando non si fa largo una classe dirigente nuova, l?etica non viene fuori. L?etica è incarnata negli uomini, è un comportamento che implica una rinuncia, che però è un valore.


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