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La differenza cristiana di Don Lorenzo Milani

Don Milani non voleva essere un commerciante del consenso che cerca di contentare i gusti dei suoi clienti perché il maestro è «chi cerca di contraddire e mutare i gusti dei suoi clienti». Don Milani rimproverava gli intellettuali di mancanza di coscienza, era spesso rude, aggressivo, volgare. Una figura spigolosa ma convinta che con la sua scuola popolare avrebbe cambiato il mondo e la Chiesa

di Pietro Piro

Provo un profondo e amaro disgusto nel vedere associato al nome di Don Lorenzo Milani – com’è successo ieri sulle pagine del giornale la Repubblica – il termine terribile e violento di pedofilo. Considero l’intera vicenda associata alla pubblicazione di un romanzo l’ennesima truffa mediatica che mira unicamente a far vendere un prodotto. Il mio giudizio è tanto duro quanto pensato. Credo sia arrivato il momento di chiamare le cose con il loro nome senza paura di dover disturbare l’opinione di qualche ben pensante.

Don Lorenzo Milani è stato un sacerdote scomodo. Oggi lo si cita spesso a sproposito senza indagare le ragioni profonde della sua opera pastorale e sociale. Personaggio-icona, facile soggetto di devozioni passeggere, di entusiasmi acritici, di letture opportunistiche.

Don Milani è stato, e resterà sempre, un uomo che ha creduto nell’ufficio sacerdotale con una tale convinzione da lasciare tutti quelli che entravano in contatto con lui un profondo senso d’inquietudine. Credo che al centro di un dibattito sulla sua figura deve essere posta la sua pretesa intorno alla differenza cristiana.

Don Milani sentiva e voleva con tutte le sue forze essere un prete unico, diverso, decisivo. Leggendo le Esperienze pastorali questa posizione si chiarisce e si fa luminosa. Scrive Don Milani: «Proviamoci a mettere nei panni di quell’infelice che ha lasciato il borgo ed è salito alla chiesa in cerca di qualcosa che il borgo non gli ha potuto dare. In cerca di un uomo diverso dagli altri, un uomo che valuta con un metro con cui nessuno valuta. Che stima ciò che disprezzano gli altri e disprezza ciò che ognuno stima. L’uomo di Dio. Qualcosa di «entitative» diverso dall’uomo del mondo». Solo se il contatto con il prete apre all’oppresso una prospettiva nuova e diversa possono farsi più chiari i sentieri della buona novella. Don Milani vuole essere sempre «alla presenza e all’altezza della loro infelicità e della nostra paternità», non ha paura di confrontarsi corpo a corpo con l’oppresso, vivere insieme a lui e con lui patire in terra tutti i dolori dell’escluso e del reietto. Don Milani sa quanto è fondamentale l’esempio coerente di parola e vita perché «il babbo mostra al bambino un alto concetto dell’Eucarestia solo col cercarla lui per sé prima di ogni altra cosa e non con lo spendere 100.000 lire su quella del bambino». Solo l’esempio coerente crea fiducia perché «come potremo noi pretendere che i giovani vengano su con in mente una chiara gerarchia di valori? Non si rimedia con le parole(dal pulpito, dall'altare, a dottrina) ciò che si è malinsegnato con fatti».

Don Milani ha capito perfettamente dove si blocca il flusso vitale dello spirito cristiano: nel non riuscire a essere coerenti nei fatti sulle verità professate a parole.


Noi non sappiamo e non sapremo mai, quali fossero i pensieri più intimi e umanamente miserabili di Don Milani. Ma possiamo sapere con certezza quale sia stato il suo percorso biografico: vicinanza che si fa comunione con i poveri, oppressi, marginali. La sua è stata una pedagogia della liberazione che mirava a dar voce a «un giusto bisogno di rivoluzione senza bisogno di perdere per questo la fede». Don Milani non voleva mai «bestemmiare il tempo» perché sapeva che era poco e prezioso e che un oppresso che vuole liberarsi, non ha tempo da dedicare alle frivolezze perché queste non sono altro che una forma di schiavitù, un dispositivo di repressione dal volto attraente.

Don Milani non voleva essere un commerciante del consenso che cerca di contentare i gusti dei suoi clienti perché il maestro è «chi cerca di contraddire e mutare i gusti dei suoi clienti». Don Milani considerava cinema, radio e televisione strumenti di ateismo attivo, macchinette anti pensiero e distraenti a casa di un prete, rimproverava gli intellettuali di mancanza di coscienza, era spesso rude, aggressivo, volgare. Una figura spigolosa ma convinta che con la sua scuola popolare avrebbe cambiato il mondo e la Chiesa. Solo una figura così decisiva poteva scrivere nelle sue Lettere queste parole:

«Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira in basso. Rinfacciargli ogni giorno la sua vuotezza, la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza. Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno Grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo. La gente viene a Dio solo se Dio ce la chiama. E invece se Dio la chiama il prete (cioè l’uomo, il simpatico, il ping-pong) allora la gente viene all’uomo e non trova Dio».

Per Don Milani è chiaro che l’ufficio del prete ha senso solo quando il suo atteggiamento diventa fastidioso per le convenzioni asfissianti e per i legami distraenti del mondo. Don Milani è certamente riuscito nel suo intento. Tuttavia, il potenziale di liberazione del suo magistero è tutto ancora da sviluppare e da approfondire.

Per questo motivo, e anche per sottrarre questa figura alla banalità della cronaca mondana, abbiamo deciso di dare avvio a una riflessione profonda e corale su questa figura domani a partire dalle 15:00 presso la Chiesa Madonna del Buon Consiglio in via XXI Ottobre a Castenaso (BO) in compagnia di Federico Ruozzi, Marco Dotti, Francescomaria Tedesco, Don Domenico Cambareri e con le letture delle pagine di Don Milani a cura di Gabriele Via. L’incontro aperto al pubblico, gratuito e popolare prende il nome da un passaggio della Lettera ai giudici: Le cose belle che essi vedranno più chiare domani. Don Lorenzo Milani cinquant’anni dopo.

Ci auguriamo che possa essere un tentativo serio di accostarsi a questa figura intimamente convinta che: «Il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani è che noi vediamo solo in confuso».

Noi, ancora oggi, continuiamo a vedere troppo in confuso.

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