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La deriva della politica sull’accoglienza

Dai 600mila irregolari alle attese infinite per il riconoscimento del diritto di asilo fino alla incoerenza fra norme e prassi reali, i veri nodi della questione sono ancora tutti lì sul tavolo. «Non saranno certo le polemiche basate su stereotipi e falsi numeri ad aiutare partiti e governo a portare a terra soluzioni concrete», sottolinea sul numero in distribuzione il sociologo Maurizio Ambrosini. L'intervista

di Marco Dotti

Che cosa segna il confine tra noi e gli altri? Come è cambiata, in questi mesi, la comunicazione su migranti, rifugiati e accoglienza? Come (e se), infine, le istanze della società civile sono state prese in considerazione dalla politica? Maurizio Ambrosini insegna sociologia all’Università di Milano ed è tra i principali esperti di fenomeni migratori, l’8 ottobre (oggi) è protagonista di un dibattito, organizzato da Vita, a Milano, nella due giorni Reinventing 2021. L'intervista.



Migrazioni e accoglienza: temi grandi per la società civile. Temi che, oggi, sembra non abbiano uno sbocco nell’agenda politica in senso stretto…
Le migrazioni e, di conseguenza, l’accoglienza sono temi molto carichi di emozioni. Negli ultimi vent’anni il discorso su migrazioni e accoglienza si è molto politicizzato di pari passo con l’arretramento di una politica basata sui fatti, più che sull’emotività. Questa politicizzazione, conseguenza di un approccio viziato nella forma e nella sostanza, ha fatto sì che le migrazioni e l’accoglienza entrassero nell’agenda politica soprattutto nella declinazione data dagli oppositori: porti chiusi, confini sigillati, “aiutiamoli a casa loro”. Abbiamo visto governi cadere, partiti vincere le elezioni, leader politici fare carriera sul tema delle migrazioni e, in particolare, del contrasto alle migrazioni. L’agenda politica per molto tempo si è aperta solo alla pagina dell’ostilità all’accoglienza. Questo fatto non è senza conseguenze sull’oggi e su come le istanze della società civile vengono recepite o ascoltate sul piano politico. Ma ha effetti anche sul modo stesso con cui le organizzazioni dell’accoglienza si raccontano e raccontano ciò che fanno.

Non si riesce ancora a uscire da un contesto ostile all’accoglienza?
Il primo problema che dobbiamo affrontare è la distorsione penetrata molto nel profondo del nostro immaginario. Per uscirne dobbiamo, ancora una volta, partire dal dato di realtà. La maggior parte dell’opinione pubblica crede ancora che l’immigrazione sia in tumultuoso aumento e che coincida con l’arrivo dei rifugiati. Falso. Falso anche lo stereotipo che gli immigrati siano giovani, maschi e musulmani. Le migrazioni, in Italia, sono stazionarie da una decina d’anni, come effetto della crisi economica del 2008. Inoltre, i richiedenti asilo e i rifugiati sono 270mila circa su 5 milioni e mezzo di immigrati. I migranti che vivono in Italia sono per lo più europei, la metà dei quali di sesso femminile e prevalentemente di religione cristiana. Tornando alla domanda sulla politica, direi che la discussione sia intossicata da un alto livello di politicizzazione che deforma la realtà.

Politicizzazione, però, significa assenza di politica…
Significa una politica consegnata alle emozioni, buone o cattive che siano, e non alla responsabilità. Oggi, al contrario, è di responsabilità e di responsabilizzazione che abbiamo bisogno. In questo la società civile deve giocare un ruolo ancor più importante di quello che ha. Non deve cadere nella logica di contrapporre emozioni positive alle emozioni negative. Dobbiamo partire dal fare, dall’agire e dal ripensare le forme stesse dell’accoglienza. Dobbiamo uscire definitivamente dall’epoca della mobilitazione emotiva.

Come uscirne, dunque?
Distinguendo diversi tipi e forme di immigrazione e ponendoci delle domande. Le migrazioni mobilitano da entrambi i lati, attraverso emozioni, simboli e sensi di colpa. Ma la lettura del fenomeno è sostanzialmente la stessa. Per una vera cultura dell’accoglienza dobbiamo iniziare a dare letture non semplicistiche del fenomeno delle migrazioni…


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