Welfare

La denuncia di Uneba, così in Lombardia si è acceso il fuoco nelle Rsa

La delibera della giunta Lombarda – la numero XI/2906, 8 marzo 2020 – chiedeva alle Ats, le aziende territoriali della sanità, di individuare nelle case di riposo dedicate agli anziani strutture autonome per assistere pazienti Covid 19 a bassa intensità. Come mettere un cerino in un pagliaio

di Redazione

«Chiederci di ospitare pazienti con i sintomi del Covid 19 è stato come accendere un cerino in un pagliaio: quella delibera della giunta regionale l’abbiamo riletta due volte, non volevamo credere che dalla Regione Lombardia potesse arrivarci una richiesta così folle».

Luca Degani è il presidente di Uneba Lombardia, l’associazione di categoria che mette insieme circa 400 case di riposo lombarde. La sua è un’accusa precisa di cui dà conto in un'intervista a Il Quotidiano del Sud. Tira in ballo le responsabilità dell’assessore alla Sanità Giulio Gallera e del presidente Attilio Fontana. Altri direttori e altri responsabili di Rsa hanno scelto il silenzio o si sono rifugiati nella retorica del lutto. Una forma di protezione dal dolore. Che accomuna tutti, infermieri, medici, personale. Nel tempo si erano stabiliti legami non solo professionali. C’è chi, a causa del Coronavirus, ha perso pazienti, chi amici, chi colleghi.

«Dipendiamo per un buon 30% dai finanziamenti della Regione -riprende Degani – logico che molti abbiano paura di perderli. Non parlano e io li capisco, Ma noi, che facciamo parte del Terzo settore e siamo non profit, certe cose dobbiamo dirle: i nostri ospiti hanno una media di 80 anni, sono persone con pluripatologie. Come potevamo attrezzarci per prendere in carico malati spostati dagli altri ospedali per liberare posti-letto? Ci chiedevano di prendere pazienti a bassa intensità Covid e altri ai quali non era stato fatto alcun tampone. Il virus si stava già diffondendo. Stavamo per barricarci nelle nostre strutture, le visite dei parenti erano già state vietate».

Il fuoco è divampato all’improvviso e l’incendio non si è ancora spento, facendo strage di anziani. Una mattanza tenuta segreta, separata dalla contabilità quotidiana della Protezione civile.

La delibera della giunta Lombarda – la numero XI/2906, 8 marzo 2020 – chiedeva alle Ats, le aziende territoriali della sanità, di individuare nelle case di riposo dedicate agli anziani strutture autonome per assistere pazienti Covid 19 a bassa intensità.

Il presidente di Uneba spiega: «Dopo la delibera abbiamo chiesto chiarimenti, maggior parte delle nostre strutture non hanno dato seguito alla richiesta della regione. Ma c’è chi l’ha fatto e poi si è pentito. Come potevamo accettare malati ai quali non era stato fatto alcun tampone né prima né dopo? Senza dire, che il nostro personale sarebbe stato comunque a rischio. Si sono infettati medici e sanitari in strutture molto più attrezzate della nostra. Non ci hanno dato i dispositivi di protezione ma volevano darci i malati… insomma».

Ipotizzare la presenza di pazienti Covid è ritenuto – si legge nella lettera inviata alla Regione – «estremamente complesso, difficile e potenzialmente rischioso». Le Rsa ospitano, infatti, per lo più anziani che hanno già malattie gravi e conclamate. Che non possono essere più assistiti a domicilio. In totale dispongono di 70mila posti letto, tra privati, (80%), enti vari e strutture pubbliche.

Non tutti, però, purtroppo, hanno detto di no. C’è chi li ha presi i malati. Chi ha rischiato di far entrare il l virus dalla porta principale.

Tutto questo non sarebbe venuto fuori se il direttore sanitario di una Casa di riposo milanese – intervistato da Irene Benassi durante la trasmissione Agorà, su Rai3 – non avesse accennato alla “strana” richiesta della giunta lombarda.

Quando il dietrofront è partito era ormai troppo tardi, «la necessità di liberare rapidamente posti letto di Terapia Intensiva e Sub Intensiva e in regime di ricovero ordinario degli ospedali per acuti» – come si legge nella delibera, ha prevalso su tutto. Forse anche sul più comune buon senso.

In molte case di riposo lombarde ancora si aspettano le mascherine. C’è chi ha provato a ordinarle senza aspettare la Regione e la Protezione civile. È riuscito a ottenerle camuffando l’ordine d’acquisto e la bolla di accompagnamento per evitare il sequestro e i controlli in dogana! Mascherine provenienti dall’Azerbaijan ma in realtà prodotte in Cina e spacciate per tessuti: cosa bisogna fare per salvarsi la vita.

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