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La denuncia di Emergency

All'ospedale entrano i giudici per interrogare e non i sanitari per i feriti. Chi erano i sei italiani uccisi

di Redazione

È il più grave attacco subìto dal nostro Paese dalla strage irachena di Nassiriya, all’epoca, era il 2003, sotto il controllo del nostro contingente. Stamani sei militari italiani sono morti e altri quattro sono rimasti feriti in un attentato kamikaze nel pieno centro di Kabul, sulla strada che porta all’aeroporto della capitale afghana. Sia i deceduti sia i feriti (che non sarebbero in pericolo di vita secondo quanto riferito al Senato dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa) appartengono al 186esimo Reggimento Paracadutisti Folgore.

Le vittime

Tenente Antonio Fortunato (nella foto), nato a Lagonegro (PZ), classe 1974; sergente Maggiore Roberto Valente, nato a Napoli, classe 1972; 1^ Caporal Maggiore Matteo Mureddu, nato a Oristano, classe 1983; 1^ Caporal Maggiore  Giandomenico Pistonami, nato a Orvieto (PG), classe 1983; 1^ Caporal Maggiore  Massimiliano Randino, nato a Pagani (SA), classe 1977; 1^ Caporal Maggiore  Davide Ricchiuto, nato a Glarus (Svizzera), classe 1983. Con loro sale a 21 il numero dei morti italiani in Afghanistan dal 2004. Messaggi di cordoglio da tutto il mondo politico e delle associazioni. Forte messaggio di condanna dell’attentato dalla Sezione Italiana di Amnesty International.

La denuncia di Emergency

Oltre ai sei soldati italiani, vanno registrate una decina di vittime tra i civili afghani, a cui si aggiungono 55 feriti. Il centro medico di Emergency a Kabul fa sapere di avere soccorso cinque feriti, di cui uno grave, attualmente in terapia intensiva. Marco Garatti, chirurgo d’urgenza, attualmente è coordinatore medico del Centro chirurgico di Emergency a Kabul, ha rilasciato per il sito Peacereporter una testimonianza dall’ospedale di Kabul. Scrive Garatti: «Ai rappresentanti dello stesso ministero della Sanità afgano è stato impedito oggi di entrare nell’Ospedale militare di Kabul e, quindi, solo il ministero della Difesa ha potuto render conto del numero delle vittime civili. Dopo il tragico attentato di oggi, oltre a piangere la morte di alcuni ragazzi italiani, dovremmo piangere la morte e il pessimo trattamento ricevuto da alcune decine di pazienti afgani che sono stati forzatamente trasferiti ed ammassati nella struttura sanitaria dell’esercito, che solo in occasioni come questa si ricorda che può trattare anche civili. Se la motivazione fosse la possibilità di garantire un trattamento migliore, lo si potrebbe comprendere: purtroppo la motivazione vera e non troppo nascosta è che così i pazienti possono essere “interrogati meglio”. Nell’Afghanistan democratico, non è tanto importante quanto sei ferito ma quanto sei utile alle indagini. Il Centro chirurgico di Emergency a Kabul riceve quotidianamente decine di feriti che vengono da tutte le province vicine, ma quando una bomba esplode a 500 metri dall’ospedale, ai pazienti viene reso impossibile esercitare il proprio diritto ad essere curati: per motivi che chi fa attività sanitaria, come me, trova difficile comprendere».

L’attentato
L’attentato è avvenuto alle 12 locali di oggi, le 9.30 italiane, nei pressi della rotonda Massud, dove il traffico è rallentato per i controlli in direzione dell’ambasciata statunitense, del comando Isaf e dell’aeroporto della capitale. Secondo le prime ricostruzioni, un automezzo civile (una Toyota bianca secondo quanto riferito dal ministro della Difesa) con a bordo i due kamikaze e con un notevole carico di esplosivo sarebbe riuscito ad infilarsi tra i due Lince del contingente italiano “Italfor xx” in servizio di scorta. Distrutti gli edifici ai lati della strada.

I talebani
I miliziani hanno rivendicato l’attentato, per bocca del portavoce talebano Dabiullah Mujahid. Negli ultimi mesi, nonostante la massiccia presenza di forze internazionali, si sono moltiplicati gli attacchi suicidi a Kabul. L’ultimo è dell’8 settembre scorso, quando un’autobomba ha ucciso tre civili davanti alla base aerea Nato. Secondo alcune interpretazioni, l’obiettivo dell’attentato di oggi non era il convoglio militare, ma una delle ambasciate straniere presenti nella zona. A dimostrarlo, l’ingente quantitativo di esplosivo utilizzato, in quantità molto superiori rispetto a quanto viene normalmente impiegato per gli attacchi ai mezzi militari.

Restare o andarsene
È l’interrogativo che comincia a trasparire nelle reazioni politiche che hanno accompagnato il cordoglio unanime dei partiti e delle istituzioni. La convinzione che l’intervento militare debba andare avanti (espressa in primo luogo dai ministri della Difesa e degli Esteri) resta un punto fermo. Ma accanto al rinnovato impegno per il mantenimento della missione Isaf, affiorano anche le domande sulla sicurezza dei militari impegnati in Afghanistan.

Il cordoglio dell’Acli

Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani esprimono il loro «profondo cordoglio» per le vittime del terribile attentato che a Kabul ha causato vittime tra i militari italiani e i civili afgani.

«Tocchiamo oggi tragicamente con mano – ha detto il presidente delle Acli Andrea Olivero – quanto alto sia il costo dell’impegno per la pace, appena poche settimane dopo aver festeggiato con le elezioni presidenziali un nuovo inizio per la democrazia afgana».

«In queste ore di dolore – ha aggiunto Olivero – dobbiamo chiedere e pretendere che la morte di questi soldati non sia vana. E’ compito e responsabilità della politica sostenere il faticoso cammino del popolo afgano verso la democrazia. Europa e Occidente si facciano garanti perché su questa strada non si torni indietro, perché l’attesa nuova stagione di pace e di democrazia per l’Afghanistan non resti una promessa mancata».

Le Acli esprimono infine condivisione e apprezzamento per la scelta della Federazione nazionale della stampa italiana di rinviare la manifestazione per la libertà di stampa prevista per sabato. «Il rinvio della manifestazione e’ giusto – ha osservato Andrea Olivero, presidente delle Acli – Ci sono momenti in cui un Paese deve restare unito per poter esprimere i propri sentimenti di dolore, di solidarietà e di riconoscenza. Il valore di questo sacrificio per la democrazia e la libertà aiuterà tutti a riflettere su quanto questi principi siano da difendere anche in Italia da possibili soprusi».

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