Volontariato

La delicata operosità dei milanesi torna al servizio della “Civitas”

Affidarsi a schemi rigidi non serve, meglio costruire dal basso. Parola di urbanista

di Redazione

Il ?non abitare? è il problema numero uno. Bonomi coglie questo aspetto decisivo. Ma affidarsi solo allo sviluppo economico sarebbe una grave mancanza di prospettiva

Mi chiedo se abbia senso estremizzare i divari contemporanei pervasivi (non mi riferisco a Bonomi, ma ad Hardt e Negri, solo per citare due casi): la nuda vita e la vita nuda; l?insider e l?outsider; locale e globale, impero e sudditi, e così via per poi cercare la soluzione in un?unica teoria. Lo schema è semplice: grande emergenza – grande progetto risolutivo. Non voglio mettere in dubbio l?alto valore del libro di Bonomi nell?aiutarci a comprendere in profondità la Milano d?oggi. Il testo ci offre un bussola per interagire con Milano: che sia una città post fordista, europea, globale o infinita. Comunque sia, è sicuramente (e lo dimostra, l?autore) una città / luogo dentro cui per molti (non esclusivamente i ?tudini?), è molto difficile vivere felicemente. Tra questi penso, in particolare, ai bambini, i quali non possono essere in nessun modo ?moltitudine?.

Quello che è senz?altro utile nel focalizzare le moltitudine è l?enfatizzare le condizioni di esclusione, della solitudine, della frammentazione, della ?non civitas? e del ?non abitare?. Questo per me costituisce il problema metropolitano. Le sue cause e potenziali soluzioni stanno tanto nel sociale e nell?economico quanto nell?ambientale. Cioè, se è vero che lo sviluppo economico (pianificazione, mercato, organizzazione) e la relativa (de)evoluzione sociale hanno contribuito alla moltiplicazione delle moltitudini, è altrettanto vero che lo spazio città – i suoi (non)luoghi e i processi che li determinano – contribuisce e rinforza la durezza e la durata di tali condizioni.

Nel nuovo millennio risulta, quindi, compito prioritario dell?urbanistica, delle scienze sociali e delle istituzioni politiche, educative e culturali sviluppare nuovi approcci e strumenti idonei a ricucire architettonicamente e socialmente gli ambiti urbani percepiti come terre di nessuno o, comunque, come spazi ostili da cui difendersi. Bisogna, nel contempo, avviare dei processi partecipati di evoluzione socio-culturale nella direzione di un maggiore senso comunitario di appartenenza degli abitanti, e quindi dei bambini, alle proprie città per garantire la cura e la sostenibilità di interventi di riqualificazione intrapresi.

La rarità di processi di fondazione dell?abitare si innesta non solo sulla mancanza di luoghi d?appartenenza ma soprattutto sull?assenza di comunità. Raggiungere questo scopo richiede la progettazione e la gestione di processi innovativi capaci di (ri)innescare legami tra gli abitanti e i luoghi e tra gli abitanti stessi nel corso della trasformazione urbana. Rifondare Milano richiede molto di più di un buon progetto. Richiede grandi ideali e piccoli passi presi con una ?delicata operosità?.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA