Non profit

La decrescita è bella. ma nessuno la vuole

Globalizzazione A Mantova un confronto tra Serge Latouche ed Aldo Bonomi

di Redazione

Decrescere sì, ma serenamente. Dove il riferimento alla felicità è forte, non casuale: ci ricorda il legame troppo spesso trascurato che pure dovrebbe esistere fra sviluppo e qualità. Della vita degli umani, oltre che dell’ambiente. Sono queste in fin dei conti le parole essenziali del pamphlet di Serge Latouche, intitolato Breve trattato sulla decrescita serena, uscito da Bollati Boringhieri, e discusso al Festival della letteratura di Mantova assieme ad Aldo Bonomi.
«Un libro politico, ideologico e interrogante», spiega Bonomi. «Propone più che una utopia, una eterotopia e di fronte a un modello di sviluppo che ha in sé il destino della tragedia ha il coraggio di usare la parola “rivoluzione”». E cioè nei termini cari a Latouche di proporre una «decolonizzazione dell’immaginario» per una società da troppo tempo assuefatta a un percorso che ha «occidentalizzato» l’intero sistema economico e sociale. Consolidando l’illusione di disporre di risorse illimitate. Il che naturalmente non è.
Ecco dunque la proposta della decrescita, che rilancia dal basso una rinnovata coscienza e intreccia a modo suo il globale e il locale. «In questo senso», ha spiegato Latouche, «quello della decrescita è un concetto postpolitico, da agire territorialmente. Ogni comunità deve tentarlo a modo suo. Non esistono soluzioni universalistiche».
In questa libertà necessaria si condensano però alcuni problemi. Anzitutto nel rapporto fra la decrescita e le altre ideologie. Quella dei fautori della globalizzazione («i sorvolatori del mondo», li definisce Bonomi, che hanno dalla loro l’arma della responsabilità sociale, grazie alla quale sollecitano o tentano di sollecitare una fiducia). E quella dei sostenitori di uno sviluppo che si faccia sempre più sostenibile, sperimentando soluzioni di economia informale (cioè la componente potremmo dire “riformista” o se preferite “socialdemocratica”).
Soprattutto però l’intreccio globale/locale può dar luogo a nuove problematiche. Qual è, concretamente, l’atteggiamento delle comunità nei confronti dei processi di globalizzazione? Certo, vi sono esempi di conflitto e di resistenza, ma, come ha sottolineato Bonomi,«per lo più i luoghi vogliono agganciare la globalizzazione, hanno paura di essere esclusi da quei flussi che pure impattano le comunità e le cambiano». Un paradosso, certo, ma come non tenerne conto?

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