Mondo

La Dakar in Argentina e Cile e le proteste degli ambientalisti

di Paolo Manzo

Al posto del “pronti, via” sugli Champs Elysées, l’ugualmente larga Avenida 9 de Julio a Buenos Aires, invece del deserto africano il silenzio tormentato della pampa, niente montagne dell’Atlante ma stavolta Ande a tutto spiano. Insomma, continua a chiamarsi Parigi-Dakarma sotto sotto sembra proprio un’altra cosa. Da quando, e cioè da quest’anno, il celebre rally che dal 1977 ha unito Europa e Africa nel segno delle corse più spericolate si è trasferito in SudAmerica.

Il fatto che si gareggia a migliaia di chilometri da Dakar in Senegal sembra non essere rilevante ai fini dello spirito della gara. I concorrenti hanno altro a cui pensare, come per esempio i circa 10 mila km da percorrere tra Argentina e Cile ovvero come passare da Atlantico a Pacifico vincendo possibibilmente la gara e soprattutto salvando la pellaccia. Per i 539 veicoli in gara ci saranno 10 privince da attraversare in Argentina, 3 in Cile per un totale di 2 settimane di competizione. Da Buenos Aires attraversando la pampa arriveranno in Patagonia per cominciare a costeggiare verso il nord la Cordigliera delle Ande e per poi attraversare il Cile. Con la chicca della morsa finale, in pieno deserto cileno di Atacama, 670 km da bere tutti d’un fiato. I concorrenti dovranno superare temperature che andranno dai 40 gradi del giorno a temperature sotto lo zero nella notte, per questo è la tappa più dura di tutta la corsa. Traguardo poi per i fortunati che resisteranno alle prove nel Rio de la Plata.

E mentre l’adrenalina è alle stelle in vista delle difficoltà da superare qualche brivido, e non pochi, lo stanno aggiungendo gli ambientalisti che rischiano di creare seri problemi allo svolgimento della gara. Sotto accusa infatti sono finiti i diversi luoghi verdi attraversati dal rally, a rischio proprio per il loro fragile equilibrio di biodiversità. Tra le aree protette in pericolo ci sarebbero l'”Área Natural Protegida Meseta de Somuncura”in Argentina dove i piloti sono passati ieri mentre oggi la minaccia incombe su un’altra area protetta, quella del Valle Cretácico. Gli ambientalisti che da giorni protestano invocano i diritti della costituzione perché, come loro stessi gridano “questo scempio non abbia luogo”.


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