Economia
La cura è nel nostro dna
Dotti, Presidente di Cgm-Welfare Italia: vi spiego il senso della mia professione. Lavoro, opera e azione. Sono questi gli assi portanti dell'attività del privato socale
di Johnny Dotti
Il lavoro di prossimità può essere visto secondo molte prospettive. Io lo vorrei guardare adottando la tesi di Hannah Arendt a proposito della vita attiva, che si può sinteticamente concepire in tre modi: il lavoro, l?opera e l?azione.
La domanda è: perché ci occupiamo di sanità, di psichiatria, di anziani? Credo che questo ?perché? sia ciò che sostanzia nel profondo il nostro fine. È essenziale non perdere di vista questa domanda di senso. Credo, di conseguenza, che la presunzione delle cooperative sociali sia quella di tenere insieme tre aspetti: lavoro, opera, azione.
Guadagnarsi il pane
Impegnarsi nel lavoro e investire in professionalità. La professionalità può essere quella di un falegname, di un educatore, oppure quella di un assistente sociale, quella di uno psicologo o di un psichiatra. Posso ragionevolmente valutare che siano una cinquantina le professionalità impiegate nelle cooperative di tipo A e di tipo B. Professionalità che rispondono a un?esigenza comune: guadagnare il ?pane quotidiano?.
Ma non è tutto: oggi questa esigenza risponde anche alla necessità di inserire le proprie caratteristiche personali all?interno di una vita sociale complessa. Si costruisce la propria vita sociale anche attraverso il lavoro e la propria competenza specifica. Il nostro obiettivo è di coinvolgere anche le persone cosiddette emarginate. In particolare le cooperative di tipo B hanno questa missione, cercano di includere nel mondo del lavoro chi tendenzialmente il lavoro non ce l?ha. Il lavoro però, vale la pena ribadirlo, deve necessariamente continuare a costituire ?un? valore, non ?il? valore.
Opere d?arte
La seconda presunzione delle cooperative sociali possiamo tradurla in ?creazione?. Mettere in atto operazioni creative, riuscire a generare elementi nuovi laddove questo nuovo non c?era o non era evidente. Si montano elementi diversi, nel nostro caso di socialità, di economia, di cultura, di conoscenza, dando vita a forme nuove. Le cooperative sociali e i loro consorzi sono da sé una piccola opera d?arte. Interpreti moderni del percorso compiuto nei due secoli passati dalla cooperazione.
Per esempio, a proposito della distanza che separa i parenti e i cosiddetti pazienti, la cooperativa sociale è un interprete creativo della proprietà, la scelta multistakeholder è la possibilità per diversi portatori di interesse di partecipare alla costruzione dell?impresa. Da qui opera, impresa.
Politica nel verso giusto
Le cooperative sociali però sono anche azione, azione politica. Cosa dicono oggi le cooperative sociali: che non è vero che la politica va solo ?da destra a sinistra?, anzi, probabilmente dicono, e sono un po? provocatorio, che la politica ?da destra a sinistra? è morta, o quanto meno moribonda. Lo dicono con estrema semplicità, più negli atti che nelle parole e in consonanza con almeno i due terzi dell?umanità che abita il pianeta. Nel mondo la politica che va ?da destra a sinistra? è il passato. Adesso sono altri i fattori che determinano la politica, cioè la convivenza civile. A questo punto bisogna chiedersi: che vuol dire cittadinanza attiva, qui, in Occidente? Vuol dire che le cooperative sociali prima di essere dei luoghi di lavoro, prima di essere dei luoghi creativi, sono luoghi in cui alcuni cittadini hanno intuito che per fare politica devi includere l?economia. Almeno in Occidente, almeno oggi. Se tu vuoi essere un cittadino attivo e non solo un consumatore, devi saper trattare l?economia. Non solo trattare di economia, ma trattare l?economia.
Trattare l?economia non vuol dire trattare solo di finanza, trattare con il mondo economico, vuol dire trattare l?ordine delle cose, la distribuzione e l?equilibrio delle risorse. Includere le persone in difficoltà è realizzare un atto politico forte. Includere le persone in difficoltà e farle diventare soci è doppiamente un atto politico forte. Includere le persone in difficoltà e immaginarsi che tutti abbiamo qualcosa da imparare e da insegnare è, infine, qualcosa di ancora più grande.
Visione d?insieme
Questi tre approcci, se vengono descritti e vissuti in modo separato come ho fatto io adesso, servono poco.
Mi sembra essenziale cercare di tenere insieme questi tre aspetti e ?tenere insieme? il nostro essere lavoro, il nostro essere opera e il nostro essere azione. Ma come si fa? Come si fa a immaginare che possano stare insieme?
Possano essere un circolo virtuoso?
Credo che l?ancoraggio ai valori sia una dimensione fondamentale. Ma, attenzione, il valore non deve diventare un?ideologia. In questo caso i bei propositi rischiano di rimanere tali. Per farli vivere, servono strumentazione, tecnica, metodologia. Probabilmente l?idea di reinventarsi continuamente è necessaria. Noi moriremo il giorno in cui ci daremo per scontati.
Per realizzare questo circuito virtuoso fra lavoro, opera e azione, credo si debba arrivare a una condizione in cui non siamo soltanto degli spettatori, delle comparse nelle vicende che accadono nel mondo, credo che si debba diventare anche attori, autori, registi.
Una sensibilità culturale diffusa che metta al centro del realizzare umano una visione appassionata del valore nascosto in ogni persona al di là, a volte, delle sterili relazioni contingenti. Osare, rischiare relazioni di valore, a partire dalle condizioni esistenziali più umili.
Le nostre radici
Desidero infine rivolgere un richiamo a tutti i cooperatori sociali: non dimenticate le nostre origini, le nostre radici. Lì, proprio lì, sta il cuore di questo circuito virtuoso. Per noi è necessario ripartire sempre dagli ultimi. Ne va della nostra esistenza. Questo non vuol dire restare agli ultimi, ma ripartire, quando si tratta di innovare le nostre azioni, dalle istanze degli ultimi.
Imola
Pochi clienti? Evviva
Al Solco regna una filosofia molto sociale di fare impresa. «Quando i nostri utenti se ne vanno, noi siamo i primi a festeggiare», dice il vice presidente, Stefano Golini.
Al centro del nostro modo di fare impresa non c?è la gestione della struttura ma la persona. Non realizziamo interventi sulla persona, ma con la persona intesa nella sua globalità». Stefano Golini, è vice presidente del Solco Imola, 16 cooperative, 8 di tipo B e 8 di tipo A, un fatturato aggregato di 16 milioni di euro, 273 addetti di cui 23 addetti svantaggiati. Le cooperative del consorzio realizzano progetti e gestiscono strutture semiresidenziali in collaborazione con il Dipartimento di salute mentale dell?Azienda sanitaria locale.
«La nostra filosofia di fondo, quella che ispira il nostro modo di fare impresa», dice Golini, «consiste nel ?perdere il cliente?, fare in modo che alla fine del percorso riabilitativo le persone che assistiamo abbiano recuperato, per quanto possibile, la dimensione di cittadini».
Cremona
Parola al controllore
Luigi Ablonzi è il direttore sanitario della Asl della provincia lombarda.
«Il non profit? Determinante nel modello di servizi ad personam»
In un territorio che conta 400mila abitanti, il privato sociale diventa determinante nella gestione dei casi più particolari. Il nostro, infatti, è un trattamento ad personam». Luigi Ablonzi, direttore sanitario dell?Azienda sanitaria locale della provincia di Cremona da otto anni, è un medico con un?esperienza professionale di oltre 25 anni, trascorsi in diverse strutture pubbliche delle Marche, dell?Emilia Romagna e infine della Lombardia.
«In qualità di committente e controllore», specifica Ablonzi, «credo di poter affermare che proprio grazie alla natura del modello lombardo, che prevede la parità di trattamento tra pubblico e privato, le imprese sociali abbiano fatto notevoli passi avanti. Con il nostro sistema infatti o si garantiscono elevati standard qualitativi o si viene esclusi dal mercato».
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