Cultura
La cultura dell’odio ci sta rubando internet?
Troll, haters, shitstorm, cyberbullying: termini - e pratiche - con cui i frequentatori del web hanno imparato a fare, spesso tragicamente, i conti. La rivista "Time", che solo dieci anni fa la celebrava come "figura dell'anno", lancia l'allarme: più che un Grande Fratello, la rete rischia di trasformarsi in una grande discarica di rancore
di Marco Dotti
Troll, haters, shitstorm, cyberbullying: termini – e pratiche – con cui gli utenti di internet hanno imparato a fare, spesso tragicamente, i conti. La rivista "Time", che solo dieci anni fa celebrava il web come "figura dell'anno", lancia l'allarme: molestatori seriali, fomentatori di odio e di rancore online stanno occupando la rete, trasformandola in un immenso cestino dell'immondizia.
Dalla condivisione al rancore
C’è chi vuole un giro di vite normativo e reati ad hoc e chi, al contrario, ribadisce che la rete è uno spazio neutrale e così va preservato. Dove stia la verità, per ora, è difficile capirlo. Di certo, tra i due litiganti e tra le più o meno raffinate varianti delle due posizioni, a goderne è la massa anonima, disinibita, ma efficientissima dei cosiddetti “troll”. Con un salto qualitativo – si fa per dire – nell’aggressività che non ha lasciato indifferente il “Time”. Colpisce il fatto che solo 10 anni fa (anche se pare un secolo: forse il tempo della rete non è solo contratto nell’istante, ma è anche dilatato senza mezze misure) fu proprio il settimanale americano a dedicare al web la copertina, eleggendo l’impersonale della rete a “uomo dell’anno”.
Tutta colpa dei troll?
Nel 2006, per celebrare il World Wide Web il "Time" scomodava la teoria dei "grandi uomini" (eroi, innovatori) del pensatore scozzese Thomas Carlyle. La folla, la rete, le infinite connessioni del collettivo: questo, smentendo il romantico Carlyle, era la rete secondo il "Time". Erano gli anni in cui si parlava della "saggezza delle folle". «L'uomo dell'anno sei tu», titolava il "Time". Tu che «controlli l'informazione».
Oggi, di quel romanticismo, di quella saggezza e di quella teoria – almeno a sentire il "Time" e a fiutare l'aria che tira – resta ben poco. I nuovi eroi della rete assumono la forma informe dei "troll". Sono loro, oramai, a dominare i dibattiti, ad alterarne la temperatura e l'umore, a innestare polemiche che, spesso, finiscono con la fuga della vittima o, peggio, in tragedia. E ancor più spesso non finiscono mai: perché la rete non dimentica, nemmeno odio e rancore. Il termine "troll" – e le pratiche che lo definiscono – non nasce con i social network, ma è attestato in lingua inglese, in tal senso, fin dal 1984. Nasce con la massificazione della rete e con la sua fuoriuscita dal ristretto ambito militare.
Insocievolezze da social
Un "troll" è un soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, fuori tema, senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e alimentare conflitti. Chi non ne ha avuto esperienza, probabilmente non frequenta il web. Ma a preoccupare è non solo la crescita quantitativa, quanto proprio la mutazione genetica e di intensità delle dinamiche dell'odio in rete. Dinamiche che si stanno sempre più innervando nell'architettura del web, trovando terreno fertile non solo nell'anonimato, ma in quello che uno studioso di etica, Adriano Fabris, ha chiamato il «tempo esploso» dei social network. Il profilo che si credeva "social" della rete, ovvero la sua instantaneità dinamica, si sta mostrando uno straordinario terreno di coltura per odio, rancore, stalking e insocievolezze in genere – fenomeni reattivi, che si sposano appieno con le protesi emozionali (smartphone & co.) di cui ci dotiamo per lavorare e per vivere.
Il fenomeno del cosiddetto hate speech, l’odio verbale (ma anche iconico) in rete, non rappresenta solo una forma virtuale di rancore. Ha effetti devastanti sulla vita materiale di milioni di persone che vedono improvvisamente sconosciuti armati di pessime intenzioni irrompere nel loro cerchio vitale sconosciuti e relazionale sconosciuti. L’integrazione della comunicazione, personale, scolastica e di lavoro, negli smartphone ha accelerato un fenomeno noto agli specialisti da anni. In questo senso, a preoccupare è non solo l’odio, ma anche la sua manifestazione nel doxxing, fenomeno che consiste nella pubblicazione di dati e immagini sensibili o riservate di una persona sui social networkInternet Apocalypse
Apocalypse, now?
Ovviamente, i più esposti a queste forme di aggressività 3.0 sono minori e donne. Ma anche personaggi pubblici, giornalisti (è noto il caso-Mentana, che abbandonò twitter spiegandone in tal senso le ragioni) o sportivo (ultimo caso: il calciatore Higuain, che dopo il suo passaggio dal Napoli alla Juventus ha dovuto chiudere il proprio profilo su Instagram). Chi può, fugge, stacca tutto e ricomincia da capo. Chi non può, so ritrova in un bel guaio.
Nel frattempo, Scotland Yard ha annunciato di aver istituito l'Online Hate Crime Hub, unità speciale contro i troll e Google Daydreams – l'ultima piattaforma del colosso delle ricerche online – ha avviato esperimenti di tutela e controllo. Si tratta, in quest'ultimo caso, di una forma di autotutela commerciale. Se il commercio online basa gran parte della propria credibilità sulla cosiddetta "user experience", la presenza di troll su forum, chat e tra i commentatori mina la tanto ambita "esperienza ottimale dell'utente". Ma la strada intrapresa srmbra senza via d'uscita.
Alcune proiezioni si spingono a affermare che, nel giro di pochi anni, la rete sarà popolata unicamente da troll. Ci saranno pornografia e gioco d'azzardo gratuiti per tutti. E inutili "notizie" a pagamento. Anche senza essere così pessimisti, porsi la questione è più urgente che mai.
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