Non si può lasciarla solo alle imprese e non si può lavarsene le mani. È ora di mettere i piedi nel piatto perché è il piatto in cui tutti mangiamo: #occupycsr!
Per troppo tempo la csr, corporate social responsibility (responsabilità sociale o rsi in italiano), è stata considerata, vissuta, proposta come qualcosa che spetta solo alle imprese fare o non fare. A volte, addirittura, come un puro esercizio accademico di docenti e studiosi che non avrebbero di meglio da fare…
Ma così non ha funzionato, non potrà mai funzionare. Perché la csr è una questione di sistema socio-economico e le imprese sono solo una parte, seppure importante, del sistema: c’è il soggetto pubblico, la politica e la pubblica amministrazione, c’è il non profit, la società civile articolata in un’infinità di corpi intermedi, ci siamo noi, ognuno di noi, come cittadini e come consumatori (anche se sarebbe già un bel salto culturale se iniziassimo a chiamarci acquirenti e utilizzatori di beni e servizi, che è più lungo d’accordo, e non consumatori).
Perché la csr possa effettivamente portare ai risultati che promette, cioè a un cambio di priorità nel modo stesso di concepire l’attività d’impresa e le sue finalità, serve che ce ne riappropriamo. Che smettiamo di delegare la csr alle imprese o comunque ad altri: troppo comodo. E soprattutto inefficace.
Ecco perché #occupycsr. Perché a mio avviso è uno slogan possibile per affermare quello che il cittadino-consumatore può e deve fare. Ed è in linea con quanto sta succedendo in mezzo mondo, dove tra movimenti occupy e indignados le persone hanno deciso, quasi costrette a farlo, di smettere di dare deleghe in bianco per la gestione del sistema e di tornare ad essere protagoniste, a contare, a farsi ascoltare, ad entrare nelle decisioni, a chiedere risposte, a esigere che sia dato conto.
Calato in ambito csr ciò si traduce innanzitutto in quello che si chiama il market reward, il riconoscimento del mercato (ne parla anche l’Unione europea nella sua strategia per la csr 2011-2014): serve che noi cittadini-consumatori iniziamo a valutare, premiando o sanzionando, le imprese in base alla loro responsabilità sociale, a quanto dimostrano di avere a cuore la dimensione sociale e ambientale del loro business e non solo i quattrini. Serve che impariamo a votare col portafoglio, a gestire in vista di obiettivi concreti il nostro potere e a comprendere i nostri diritti e i nostri doveri come consum-attori e risparmi-attori, cioè attivi e protagonisti, nei confronti del sistema e delle generazioni future. Integrando la responsabilità sociale nelle nostre azioni, facendone un modo di essere. Ad esempio imparando a valutare non solo e unicamente in base al prezzo i prodotti e servizi che acquistiamo e usiamo, ma riflettendo sul fatto che se un prezzo ci sembra troppo basso, non è certo ma è molto probabile che il costo che io non pago lo stia pagando qualcun altro o lo stia pagando l’ambiente: nulla è a buon mercato, qualcuno da qualche parte quel prezzo lo deve pagare.
E poi serve che stimoliamo, incalziamo, controlliamo, come innumerevoli watchdog ovunque sparsi, quello che le imprese fanno o non fanno, insieme a quello che gli stessi enti pubblici fanno per promuovere la csr delle imprese, con regolamenti, iniziative e incentivi. Sapendo che in questo modo possiamo contribuire a indirizzare le scelte e i sentieri di sviluppo, insomma a costruire il futuro.
I social media a questo proposito sono uno strumento formidabile per informarsi e condividere le informazioni, per entrare in dialogo con le imprese e con gli altri attori del sistema, per diffondere conoscenza e consapevolezza, per suscitare interesse e promuovere iniziative. Sbagliano strategicamente, secondo me, le imprese che hanno paura dei social network: possono essere il loro più grande alleato. Ci sono ad esempio tante imprese seriamente impegnate nella csr che non riescono a comunicarla, non trovano la strada per arrivare al pubblico, alla gente: i social network sono una strada sicuramente da percorrere in questo senso.
Tutto questo serve, si deve iniziare a fare, per il semplice motivo che la csr conviene, aiuta me, noi a migliorare la nostra qualità della vita. Con una csr diffusa, sistemica, si vive meglio. Perché se un’impresa non è responsabile nello sfruttamento delle risorse naturali, se inquina, se non si cura delle emissioni di gas serra e dei suoi rifiuti, se non controlla che si rispettino i diritti umani e i diritti del lavoro al suo interno e nella sua catena di fornitura, se non si cura della qualità e della sicurezza di quello che produce ma pensa solo ad abbattere i costi e tutto il resto viene dopo, se non crea buoni ambienti di lavoro dove le persone lavorano e vivono in modo adeguato, se non paga salari dignitosi che consentano di mantenere una famiglia, beh, tutto questo mi riguarda e rischia prima o poi di ritorcersi in modo grave su di me e sulla mia vita. Anche se sta accadendo dall’altra parte del mondo e sotto sotto penso di potermene lavare le mani finché non verranno a bussare alla mia porta.
Se invece il virus della csr riesce a contaminare il sistema, se entra nei comportamenti di ogni attore del sistema, anch’io, prima o poi, ne avrò un beneficio. Dunque è a mio vantaggio e a vantaggio di tutti che anch’io sono chiamato ad adoperarmi: #occupycsr.
La csr deve uscire definitvamente dai confini delle imprese. Tutta la strumentazione della csr, fatta di bilanci sociali, certificazioni, codici etici e via discorrendo, continua a essere indispensabile ma solo nella misura in cui questi sono utilizzati per il ruolo che hanno: di strumenti, appunto, che servono per proseguire su un cammino di impegno socialmente responsabile; non di obiettivi, come fossero la meta di quel cammino, che di fatto non può avere termine.
Non esistono imprese socialmente responsabili e imprese irresponsabili: esistono imprese più o meno in ascolto delle istanze della csr, più o meno capaci di intuire il futuro che verrà, più o meno in cammino. Ma le imprese non possono essere le uniche a decidere se intraprendere o meno quel percorso, né come farlo: #occupycsr, perché la csr riguarda me.
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