Economia

La csr degli altri

di Andrea Di Turi

Che splendido film, Le vite degli altri. Uno di quelli che non ti stanchi mai di rivedere. Perché è troppo bello rivivere le emozioni che ti ha dato la prima volta, anche se già conosci il finale. Anzi, magari riesci a dare un volto più preciso e profondo a quelle emozioni, a farle ancora più tue.

Mi è venuto in mente questo film, così all’improvviso, ascoltando un paio di interventi durante uno degli ultimi convegni sulla csr che ho seguito.

Un collegamento alquanto strano, detto così. E invece mi è parso di una chiarezza fulminante, appena me ne son reso conto. Non avevo fatto nulla per cercarlo, mi è arrivato da sé. Che incredibile macchina, siamo noi esseri umani.

A parlare erano due dei csr manager a mio avviso più preparati e convinti, e di lungo corso, che abbiamo in Italia. Mai banali i loro interventi in queste occasioni, il che non è per nulla facile perché ormai di csr per fortuna si parla spesso e i convegni non si contano.

Entrambi si sono soffermati sul discorso del bilancio sociale. Che, si sa, è il principale documento in cui un’azienda dice quello che è o che vorrebbe essere nell’ottica della responsabilità sociale. Ma, si sa altrettanto bene, è un’opportunità che troppe aziende sfruttano male o per nulla, perché ne fanno una questione di comunicazione, di immagine, di “cosmesi” della csr. Senza andare ai punti nodali della loro attività e, soprattutto, ai punti critici su cui sono incalzate dagli stakeholder più ferrati. Ed è per questo motivo, per questo atteggiamento da parte di molte aziende, che agli occhi di tanti osservatori il bilancio sociale non ha il peso, la credibilità che potrebbe e dovrebbe avere.

Se un’azienda pensa di dover fare il bilancio sociale per presentarsi all’esterno col vestito buono e il bel trucco, forse è meglio che non lo faccia. Perché? Perché non ha compreso mission e target dello strumento, per dirla in aziendalese.

Pian piano, infatti, ed è su questo che i csr manager di cui parlavo hanno attirato l’attenzione, si è fatta strada l’idea nelle aziende più illuminate, o forse solo le più dotate di buon senso, che il bilancio sociale serve soprattutto all’interno. A chi lavora nell’azienda. Prima di tutto a chi nell’azienda decide e imposta strategie. Perché a restare sorpresi delle informazioni che si trovano in un bilancio sociale ben fatto sono spesso proprio i manager e la dirigenza aziendale, che da quelle informazioni riescono a conoscere meglio e più in profondità la loro azienda. Quasi a guardarla negli occhi per la prima volta. A capirla davvero in tutti i suoi aspetti. Come se l’azienda si raccontasse loro con parole nuove, con tutto un linguaggio nuovo, con un altro story-telling, anche qui per dirla in aziendalese. Quasi il bilancio sociale, a partire dal modo in cui è strutturato, riuscisse a far parlare l’azienda con quel linguaggio del corpo che il bilancio d’esercizio, inchiodato alla comunicazione verbale (anzi, più che altro numerica), non sarà mai in grado di esprimere, ma che dice molto di più e più chiaramente.

Un’azienda che è seriamente convinta che il bilancio sociale, e in genere l’impegno sul terreno della responsabilità sociale, le serve per provare a essere un’azienda migliore in tutti i sensi, a mio avviso dovrebbe dire: il bilancio sociale? Lo prendo per me. Come dice nell’ultima scena il protagonista del film. Dove acquista il libro per sé, non per regalarlo infiocchettato al primo stakeholder che passa. E sembra non veder l’ora di far tesoro di quel libro, pagina dopo pagina, riga dopo riga, di leggerlo e rileggerlo, tenendolo da conto, a portata di mano sul comodino. Di certo non lasciando che sia coperto dalla polvere passata la conferenza stampa di presentazione.

Quelle parole, in quella scena, sintetizzano mirabilmente il passaggio da un’epoca a un’altra, per quell’uomo, per quel Paese, per l’umanità intera. Se fossero di più le aziende che utilizzano quelle stesse parole con serena e ferma consapevolezza, come fa il protagonista del film, per spiegare e spiegarsi perché decidono di impegnarsi nel bilancio sociale e nella csr, credo sarebbe un formidabile fattore di accelerazione per il passaggio da un’epoca a un’altra in un altro ambito: il modo di intendere l’attività d’impresa, il suo perché e i suoi fini, in relazione alla società.

@andytuit

 

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