Welfare

La Croce Rossa pronta a lasciare il Cie di via Corelli

Il presidente provinciale Antonio Arosio: «Rimarremo solo a due condizioni: trattamento economico proporzionale ai servizi che offriamo; trasformazione da Centro di espulsione a Centro di accoglienza»

di Francesco Mattana

La Croce Rossa non ci sta: l'incendio di domenica scorsa nel CIE di via Corelli (il quinto in due mesi) riconferma la precarietà della struttura che è stata chiamata a gestire. Le dinamiche dell'evento sono ormai note: alcuni ospiti del Centro hanno dato fuoco a lenzuola, materassi e altre suppellettili facilmente infiammabili. Il settore D carbonizzato, ma le fiamme hanno interessato anche il C e l’E. Tutti e tre sono stati dichiarati “igienicamente inagibili”.
 
Il numero di posti  è così calato di due terzi: la ricettività  è passata da 130 a soli 28 posti. 
Tre anni e mezzo fa l'Associazione ha firmato una convenzione che la lega alla Prefettura di Milano per quanto riguarda la responsabilità del CIE. Ora non è più interessata a proseguire questa esperienza, per due ordini di motivi: da un lato una questione economica (si è dovuta fare carico di perdite che negli anni hanno ammontato fino a cinque milioni di euro); dall’altro –punto ancor più nodale- una divergenza di vedute sulla natura del Centro (vorrebbero che il Centro di espulsione si evolvesse in Centro di accoglienza). Per il momento, comunque, devono restare. Nonostante lo scorso 31 ottobre la convenzione con la Prefettura sia scaduta, bisognerà attendere il corso del nuovo bando, che stabilirà quale soggetto prenderà il loro posto
 
Abbiamo intervistato il Presidente del Comitato Provinciale C.R.I. di Milano Antonio Arosio (nella foto al centro). Una chiacchierata a tutto campo su vari punti: il ruolo di CRI in via Corelli, le divergenze di vedute con la Prefettura, il rapporto che si è instaurato con gli ospiti del Centro. 
 
Perché considerate penalizzante il contratto con la Prefettura?
«Al di là dell’aspetto economico –che è ovviamente centrale, perché stiamo parlando della dignità dei nostri operatori-  quello che come CRI vogliamo soprattutto sottolineare è la nostra indisponibilità a occuparci del CIE come tipologia di servizio. Abbiamo chiesto che venga trasformato in un Centro di accoglienza piuttosto che di espulsione. È il tipo di attività che si svolge che non ci convince. Peraltro questa è una linea che Croce Rossa sta seguendo su tutto il territorio nazionale, non solo nella provincia di Milano».
 
Quali sono le attività di C.R.I. dentro il CIE?
«Facciamo assistenza sociale a 360 gradi, ci occupiamo di qualsiasi tipo di bisogno degli ospiti- visite mediche, odontoiatriche, supporto psicologico e anche un aiuto di tipo legale. È un servizio che copre le esigenze immediate». 
 
Da quali paesi provengono gli ospiti del CIE? Qual è la loro età media?
«Come età media direi che siamo attorno ai 35 anni. Da un punto di vista di nazionalità ne abbiamo delle più svariate, arrivano un po’ da tutti i paesi del Maghreb».
 
Ci sono anche persone sbarcate a Lampedusa?
«Questa è un’informazione che non ho. Sinceramente sulla tipologia delle provenienze mi coglie impreparato perché non ho questi dati».
 
Il CIE di Milano è conosciuto come Centro più “a misura d’uomo” rispetto agli altri sparsi per l’Italia
«Sì, posso confermare che è una struttura di un livello superiore in termini di accoglienza e di qualità della struttura rispetto agli altri CIE; offre sicuramente un livello di ospitalità maggiore. Anche perché è praticamente nuovo, ci sono ristrutturazioni frequenti».
 
Si è fatto un’idea sul movente dell’incendio di domenica scorsa?
«Guardi, in tutta franchezza non ci siamo posti la questione come Associazione. Ce lo siamo posti, naturalmente, come privati cittadini. Evidentemente ci sono delle dinamiche che non riusciamo a controllare. Sicuramente, quando c’è una rivolta, il malessere ne è alla base».
 
Quali danni l'incendio ha portato alla struttura?
«Io posso dirle che il nostro personale sta continuando a lavorare nei termini e nei numeri precedenti alla rivolta. È evidente che il numero dei posti è diminuito, essendo bruciati i padiglioni. In termini di numeri non saprei essere preciso».
 
Possiamo dire che alla base della vostra scelta di non rimanere nel CIE c’è l’ammissione che è una situazione ingestibile?
«Intanto sul prorogare o meno la Convenzione non voglio spendere la parola fine, perché sarebbe  scorretto. Da un punto di vista di tipologia del servizio e aspetto economico siamo sicuramente su due piani diversi rispetto ai nostri interlocutori. Può essere però che col Prefetto e col ministero degli Interni si riesca a trovare una risposta alle nostre esigenze. Ovviamente ci premono molto i posti di lavoro che la sede garantisce a oltre 40 dei nostri operatori, per cui faremo tutto ciò che è possibile per garantire loro un futuro».
 
C’è un sentimento di riconoscenza da parte degli ospiti del Centro nei confronti di Croce Rossa?
«Devo dire che il rapporto con gli ospiti è assolutamente di  ottimo livello. Non abbiamo mai avuto –né quest’anno, né negli anni passati- problemi di relazione con gli ospiti, loro stessi riconoscono il livello qualitativo del CIE. Abbiamo fatto un buon lavoro in questi anni, sarebbe un peccato sprecarlo». 
 
 


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