Dicono che l’adozione internazionale è in crisi, che il calo del 20% del 2012 è solo la prima avvisaglia di un arretramento progressivo e planetario.
Dicono che le ragioni profonde, per l’Italia, vanno cercate anche nella diminuzione inesorabile delle domande di disponibilità all’adozione, praticamente dimezzate negli ultimi sei anni. Ma davvero gli italiani non vogliono più adottare? E quali sono le loro paure? Bambini troppo difficili? Costi troppo alti?
Forse la migliore risposta a questo scenario sono loro, le mamme e i papà che hanno già adottato. E che – esattamente come quando aspetti un bambino e ti incanti a guardare le famiglie già fatte e ti chiedi come saprai cavartela – sono lì a dimostrarti che andrà tutto bene, che ogni difficoltà può essere affrontata.
Ci ho pensato mentre moderavo la serata d’apertura dell’incontro annuale delle famiglie Ciai, che si è tenuto a Cervia dal 19 al 21 aprile. La serata era dedicata a loro, alle loro storie di genitori e di figli, e anche agli operatori dell’ente, che ogni giorno camminano su un sottile filo, quello tra alti standard di professionalità e ascolto, empatia, umanità.
“Che cos’è per me l’adozione? Sapete che non lo so? Mi sono sentito un padre adottivo mentre aspettavo mio figlio, durante la lunga attesa tra procedure e colloqui. Ma quando poi è arrivato, sono stato solo un padre”, ha detto Marco, papà bolognese chiamato a testimoniare la sua esperienza.
Ciai è stato il primo ente italiano a occuparsi di adozioni, alla fine degli anni Sessanta. La sua “famiglia” è oggi un concentrato multietnico di vissuti, esperienze, un mix di figli fatti in casa e venuti da lontano, fratelli e sorelle che si amano senza condividere la stessa pelle, ragazzi cresciuti e diventati adulti che hanno fatto famiglia. Penso che sia un patrimonio straordinario per capire dove va l’adozione, chi sono gli italiani che adottano, quali sono le loro maggiori preoccupazioni per il futuro.
E non a caso, proprio questo ente ha avuto da sempre, nel proprio dna, il coraggio e l’energia per affrontare anche i temi più difficili legati all’adozione: i legami di sangue che riaffiorano, i viaggi verso le origini, il razzismo, la depressione post adozione, le adolescenze turbolente, la vita degli adottati adulti.
Abbiamo ascoltato la storia di Josè, che ha fatto il primo viaggio verso la sua terra d’origine, la Corea, solo quando è mancato suo papà. E ha scoperto un legame così intenso con il paese che aveva lasciato a 4 anni e mezzo che oggi ha fondato ed è presidente dell’Associazione Coreani Adottati in Italia.
Poi c’era Vassanth, che fa parte del gruppo adottivi adulti, che ha raccontato l’ambivalenza dell’adottato, la nostalgia della terra d’origine ma anche l’appartenenza inevitabile alle tradizioni di un altro paese. E la difficoltà di sentirsi italiano dentro una pelle indiana, con le piccole e quotidiane ignoranze e i razzismi di un’Italia che non sa diventare migliore. Gli adottivi adulti stanno organizzando il loro primo meeting nazionale, che si terrà a Bologna il 22 giugno, e che li porterà davvero per la prima volta a essere protagonisti del loro racconto di vita.
I più giovani, i ragazzi e le ragazze del gruppo adolescenti, hanno invece realizzato una canzone hip hop e un videoclip. Voglio vivere senza più paura/E non m’importa quanto sarà dura/Camminare senza compromessi/Puntando sul mio cuore e sui miei passi/E ai tristi e soli che non hanno niente/Ai dimenticati dalla gente/A chi ha diversa pelle e religione/Anche per loro canto questa mia canzone…
Un distillato rap per raccontare sogni e paure. Un messaggio che dovrebbe uscire dal raggio delle famiglie adottive perché…è universale. Figli che cercano la loro strada, genitori che affrontano ogni giorno la fatica, la paura, la gioia di crescerli.
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