Sono sommerso dagli scatoloni dell’ennesimo trasloco lavorativo. Non ne posso più, ma essendo fine d’anno ne approfitto per buttare (nel riciclo!) parecchia documentazione. Mi sono accorto che in questi mesi ho stampato parecchio (ahimé) alla ricerca di informazioni sull
a crisi. La ricerca delle cause sta annoiando: tra i “ve l’avevo detto” (Cassandra ha figliato parecchio negli ultimi mesi) e i “mea culpa” di economisti depressi. Per riscontri basta fare un giro in libreria dove abbondano le pubblicazioni: un’esternalità positiva della crisi. Ne usciremo con le tasche volte, ma speriamo più consapevoli. Anche le ricette per venirne fuori soffrono di qualche margine di improbabilità perse tra nuovi paradigmi che dovrebbero sovvertire l’ordine esistente e l’ottimismo sospetto di chi ha ricominciato a staccare dividendi su prodotti finanziari, come se nulla (o quasi) fosse successo. Cosa salvare dal trasloco per leggere la crisi al presente e al futuro prossimo (biennio, non di più)? Mi porto due documenti nella nuova sede. Il primo è un’analisi della Banca d’Italia sull’economia delle regioni italiane. Il secondo uno studio un pò atipico dell’Istat su reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle imprese. Il quadro? Complicato. Siamo in pieno circolo negativo: giù l’occupazione, giù i consumi e i risparmi delle famiglie, giù gli investimenti e i profitti delle imprese e, ciliegina sulla torta, stretta del credito. Serve un appiglio per uscire: le imprese del Centro Italia, ad esempio, sembrano meno in sofferenza rispetto a quelle del Mezzogiorno (una débacle) e al Nord Est. Poi si intravede una “ripresina” dell’industria e forse anche dei servizi, anche se le imprese di questo comparto sermbrano più fragili sul versante degli investimenti. Chiudo il pacco. Facciamoci gli auguri.
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