Volontariato

La crisi mette il silenziatore al non profit?

In Gran Bretagna si discute se sia vero le charities in tempi di ristrettezze economiche hanno paura di criticare il governo temendo di perdere i finanziamenti pubblici

di Gabriella Meroni

Gli enti non profit che forniscono servizi in convenzione con gli enti pubblici hannotimore ad esprimere pubblicamente le loro critiche al governo perché temono in questo modo di poter perdere i fondi pubblici.

Ne è convinto l’Independence Panel, una commissione indiendente incaricata di monitorare l’impatto che i tagli allo stato sociale avranno sul settore non profit, che ha scritto un un rapporto ufficiale che le associazioni che lavorano col settore pubblico, pur avendo tradizionalmente un ruolo di advocacy, si autocensurano ed evitano di esprimere pubblicamente le loro critiche temendo rappresaglie da parte delle autorità locali o centrali. In pratica, stanno zitte per non veder chiudere i rubinetti dei finanziamenti.

<<L’impressione è che l’indipendenza delle charities sia a rischio>>, si legge nel documento, <<a causa dei tagli, soprattutto se sono piccole e lavorano in settori di marginalità come i senzatetto o i disabili mentali. Alcune organizzazioni che basano la loro sussitenza sui fondi pubblici hanno il terrore di sfidare il governo o gli enti locali, temendo rappresaglie>>.
Parlando esplicitamente della <<retorica della big society>> cara al governo, la commissione ha lanciato dunque l’allarme su una possibile erosione dell’indipendenza del terzo settore a meno che vengano introdotte adeguate garanzie per preservarla.

<<Sarebbe una perdita incommensurabile se il terzo settore cessasse di dar voce a chi non ha voce o di dire scomode verità a chi ha il potere. Le associazioni di volontariato dovrebbero sapere che anche nel caso portino avanti critiche (ben documentate), queste non potranno essere usate contro di loro. Non dovrebbero quindi essere costrette a scegliere tra fornire servizi essenziali a soggetti deboli e difendere i diritti di questi ultimi>>.

Il problema – diciamo così –  del rapporto col settore pubblico riguarda un numero sempre più alto di organizzazioni non profit inglesi: sono infatti passate dal 20 al 31% del totale dal 2008 al 2010. Tuttavia, i fondi a disposizione continuano a diminuire, e c’è chi calcola che nel 2015 il terzo settore inglese avrà perso qualcosa come 3 miliardi di sterline di finanziamenti pubblici per colpa dei tagli decisi dal governo. Nel 2011 per di più si sono persi oltre 70mila posti di lavoro nel terzo settore, l’equivalente di quasi il 9% della forza lavoro del comparto. Secondo il Third Sector Research Centre nel settore pubblico l’occupazione è diminuita del 4,3% nello stesso periodo.

Secondo la presidente dell’Independence Panel, Anne Owers, <<il volontariato non deve ridursi a essere il braccio operativo dello Stato o del privato, altrimenti sarà indistinguibile dall’uno e dall’altro, perderà la fiducia della gente e di conseguenza anche le ragioni per cui gode di agevolazioni fiscali e riceve donazioni>>. Un altro rischio da evitare è quello di basare la propria sopravvivenza unicamente sulla speranza di ricevere finanziamenti pubblici. <<Questo atteggiamento cambia la natura del volontariato>>, sottolinea la Owers, <<rendendolo più simile, se non intercambiabile, con qualsiasi parte del settore privato>>.

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