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La crisi in Ciad, ecco perch

La fuga degli espatriati occidentali, l’esodo di decine di migliaia di civili e l’accerchiamento militare della capitale del Ciad spiegate dal caporedattore del quotidiano camerunense Mutations

di Redazione

di Junior Binyam L?offensiva dei ribelli che ha sconvolto il Ciad nei primi giorni di febbraio non è riuscita nell?obiettivo di rovesciare il presidente Idriss Deby. Ma la fine degli scontri è ipotesi lontana per un paese che da 40 anni è in preda alle rivolte armate. Con un?intervista mandata in onda il 6 febbraio uno dei capi dei ribelli, il generale Mahmat Nouri ha sostenuto che il ripiegamento è tattico. «Ci siamo ritirati per megli attaccare». Ma sempre dal fronte dei ribelli, lo stesso giorno, arrivava un segnale del tutto opposto. Abderaman Koulamallah, portavoce del coordinamento, intervistato da Radio France International: «Siamo per un regolamento pacifico del conflitto», ha detto, «perché per noi solo una pace vera può cancellare le sofferenze del bìnostro popolo. Noi vogliamo dare una chance alla democrazia». Una mano tesa che però è stata rifiutata dal primo ministro ciadiano Kassirté Coumakoye. A N?Djamena, la capitale, i principali leader dell?opposizione e della società civile sospettati di collusione con i ribelli sono stati arrestati. Chi è riuscito invece ha varcato il confine con il Camerun e ha raggiunto la città di Kousseri dove si contano ormai 50mila rifugiati. L?Onu ha richiamato ?gli stati membri delle Nazioni Unite a sostenere il governo del Ciad?. Questo suona come un lasciapassare per le truppe francesi stazionate in Ciad e che i ribelli accusavano di essere all?origine dei bombardamenti delle loro posizioni con gli elicotteri. Ma il fatto che Parigi abbia offerto i suoi buoni uffici per estradare Idriss Deby dal palazzo proponendogli e ai suoi più sterri collaboratori un esilio dorato, dall?altra parte è stato interpretato come un abbandono. Soprattutto per il fatto che Deby aveva provveduto alla salvezza dei fuggitivi francesi e stranieri verso Libreville, in Gabon. La posizione ambigua dei francesi lascia perplessi per l?avvenire. Gli analisti la interpetano anche come una rappresaglia dopo l?atteggiamento rigido di Deby, faccia a faccia con Sarkozy, sul caso della ong Arche de Zoé accusata di adozioni illegali nell?est del paese. Ora per la Francia, capofila delle forze europee (Eufor), che devono garantire la sicurezza dei rifugiati anche in Darfur e nalla Repubblica centroafricana, il mantenimento della pace in Ciad si rivela una sfida decisiva. Questa forza costituirà una zona cuscinetto alla frontiere tra il Ciad, il Sudan e il Centrafrica. Il che impedirebbe ai ribelli di avere rifornimenti, giacchè malgrado le smentite del presidente sudanese El Bechir, è stato provato che proprio questo paese faceva da base di appoggio. Molti dei ribelli, scappati da N?Diamena del resto si sono rifugiati a Karthoum. Quanto agli Stati Uniti, hanno invitato il Sudan a stare fuori da questi giochi: a Washington infatti interessa la sicurezza degli impianti petroliferi che sono stati esplorati a partire dal 2003 nel sud del Ciad. Quindi per una coincidenza di interessi, tutto l?Occidente sembra oggi unito nella condanna dei ribelli. Per tutte queste ragioni c?è davvero da credere per la seconda volta nell?arco di due anni Idriss Deby se la caverà. Il 13 aprile 2006 dopo la modifica della Costituzione che annullava la limitazione del mandato presidenziale, aprendo la strada alla presidenza a vita per lui, le milizie ribelli erano state respinte alle porte della capitale. Questa volta sono stati i 1400 militari francesi dell?operazione ?liocorno? a uscire allo scoperto per mantenere lo status quo. Ora il destino del Ciad ora è dipende tutto da loro.


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