Non profit

La crisi è perfetta, le soluzioni chissà

Cosa il Summit (non) ha fatto per i Paesi che combattono contro la povertà

di Luca De Fraia

I 20 hanno fatto qualche timido passo. Ma le partite cruciali si giocano
da qui al G8. Ecco i veri numeri da tenere sott’occhio Cosa costa la crisi ai Paesi in via di sviluppo? Un chiarimento: continuiamo a parlare di un gruppo di Paesi molto ampio che, se definito alla luce della lista dei Paesi eleggibili per ricevere aiuti elaborata dall’Ocse, non ci risparmia delle sorprese. Infatti, in quella lista troviamo ancora Brasile e Cina, che la settimana scorsa sedevamo al tavolo del G20.
L’impatto della crisi per i Paesi in via di sviluppo si presenta come riduzione delle rimesse, peggioramento dei termini di scambio (abbattimento dei prezzi delle commodity), riduzione degli investimenti esteri, riduzione degli aiuti. Le stime vengono riviste ogni settimana e oggi si parla di un costo di circa 700 miliardi di dollari. Ricordiamo che gli effetti di questa “crisi perfetta” si erano già fatti sentire nel 2008 con l’esplosione dei prezzi dei beni alimentari. Il 26 marzo il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, in un’intervista del Financial Times, dichiarava che il numero di persone cronicamente affamate ha infatti superato un miliardo per effetto della crisi. Ed è utile ricordare che Ban Ki Moon aveva fatto circolare una lettera destinata ai leader dei G20 nella quale chiedeva 250 miliardi di dollari in due anni per proteggere le fasce più povere.
Quale è stata la risposta del G20? Secondo le stime più consolidate, circa 50 miliardi di dollari nei prossimi anni, meno del 5% del pacchetto totale, che potranno essere destinati ai Paesi più poveri. Per arrivare alla giusta interpretazione, ci vuole tempo e pazienza. Un po’ di risorse verranno dalla rivalutazione e vendita dell’oro del Fondo monetario, altre dalla riallocazione della moneta del Fondo (gli sdr), altre ancora dal rafforzamento dei programmi di finanziamento del Fondo per i prestiti concessionali, a condizione di favore. Rimaniamo ben lontani dagli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite.
Il progetto della Banca mondiale di dare sostanza a un “vulnerability fund” per rafforzare l’accesso delle fasce più colpite a servizi sanitari e educazione, finanziato con lo 0,7% dei piani nazionali anticrisi, per il momento ha preso la forma di un’iniziativa volontaria. Non manca certo nella dichiarazione finale una conferma degli obiettivi di Gleneagle per gli aiuti, ma il messaggio che proprio il G8 lancia su questo fronte non è incoraggiante. L’Italia alla guida del vertice quest’anno riduce le risorse e vuole offrire una copertura ideologica a questi tagli, cercando di sostenere che è necessario ridurre la dipendenza dagli aiuti. Un messaggio in linea di principio anche apprezzabile, ma, dobbiamo dire, che viene offerto alla discussione al momento sbagliato.
Nelle prossime settimane dovremo seguire lo svolgimento di una serie di importanti incontri. Fra questi, la riunione di aprile di Fondo e Banca, dove dovrebbero essere messi a punto alcuni dettagli del Piano del G20. Dovremo seguire come evolve la discussione sui paradisi fiscali, che ha ripreso slancio a Londra. Dovremo capire che ruolo può giocare l’Onu, che organizza a giugno la conferenza sulla crisi dei Paesi poveri. Spetterà poi al G8 cercare quelle risposte abbozzate al vertice di Londra. Sarà un G8 aperto ai Paesi emergenti e all’Africa, secondo i piani del nostro governo. Auguriamoci che questo sia il viatico giusto per ottenere dei risultati che contano.


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