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La crisi del pacifismo e la guerra in Ucraina

Viaggio tra i movimenti pacifisti di Germania, Belgio, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Vita ha indagato e scoperto che sono ovunque in difficoltà nell'affermare il principio che si può essere contrari sia all'invasione di Putin che all'invio di armi a Kiev. Le cause di questa crisi? L'assunzione di posizioni intermedie che facilitino il ritorno al dialogo, la copertura bellicista dei media mainstream che ignorano le iniziative dei pacifisti e le politiche dei loro governi che hanno intrapreso una politica di riarmo

di Paolo Manzo

La guerra in Ucraina si trascina ormai da quasi tre mesi e, con essa, le ombre di un mondo che sembra aver detto addio al pacifismo. Per rendersene conto basta fare un confronto con il 2003, quando gli Stati Uniti invasero l’Iraq. In quell'occasione le manifestazioni portarono in strada milioni di persone in tutto il mondo in una delle più grandi proteste contro la guerra di sempre. Nei mesi scorsi, invece, quando i movimenti per la pace hanno organizzato mobilitazioni contro l'invasione russa e l’invio di armi a Kiev, in piazza non è sceso quasi nessuno.

A Bruxelles, per esempio, "c'erano 3 mila persone, forse 4 mila, non molte", ha detto a The Intercept Ludo De Brabander, pacifista belga del gruppo Vrede vzw. "È stato davvero difficile mobilitarsi”. Certo, in Iraq era tutto molto chiaro: era una guerra d'aggressione basata su false argomentazioni. In Ucraina, al contrario, è stata la Russia a fare un’invasione, illegale e non provocata. “Questo ha messo i pacifisti in difficoltà – analizza De Brabander – perché se da un lato non vogliamo sostenere la NATO dall’altro ci opponiamo naturalmente a ciò che sta facendo la Russia. E una posizione intermedia, con alternative alla guerra, ma è molto difficile da ‘far passare’”.

Se ne sono accorti in Germania, dove i Verdi hanno abbandonato il loro tradizionale pacifismo e hanno fatto fort pressioni sul cancelliere Olaf Scholz affinché inviasse armi pesanti all'Ucraina. Il settimanale Der Spiegel, il 30 aprile scorso ci ha anche fatto la copertina dal titolo ironico "Quelli verde oliva”. Nella foto tre figure di spicco del partito verde in tenuta militare, il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock con un girasole in mano, il ministro dell'Economia e della Protezione del clima Robert Habeck e il deputato Anton Hofreiter, con un bazooka in spalla. Una foto che è il simbolo della giravolta che il partito ha compiuto sulla scia dell'invasione russa. Scholz ha resistito per un po’ alle pressioni dei Verdi ma poi ha ceduto, inviando armi pesanti all’Ucraina. Stupisce anche che i Verdi di Berlino abbiano sostenuto una spesa di oltre 100 miliardi di euro per potenziare l'esercito tedesco, anche perché così facendo si sono alienati il supporto di molti giovani, tanti dei quali loro elettori contrari, a detta dei sondaggi, alla presa di posizione del partito.

Sempre in Germania, il 29 aprile scorso, un gruppo di intellettuali e artisti si è espresso contro l'invio di armi agli Ucraini, pubblicando una lettera aperta a Scholz sulla rivista Emma, diretta dalla femminista Alice Schwarzer. “La consegna di grandi quantità di armi pesanti potrebbe fare della stessa Germania una parte in guerra. Un contrattacco russo potrebbe innescare la clausola di difesa collettiva prevista dal Trattato Nato e quindi il pericolo immediato di una guerra mondiale”. La petizione online a sostegno della dichiarazione è stata firmata sinora da 250mila persone.

Ci sono poi anche altre iniziative pacifiste degne di nota in Europa. Una è quella dello storico Reiner Braun, direttore esecutivo dell'International Peace Bureau di cui è co-presidente Lisa Clark. Braun sta infatti organizzando un vertice della pace in Spagna, in contrapposizione al prossimo vertice della NATO, in programma a fine giugno. "Invieremo segnali che si sta andando in una direzione assolutamente sbagliata, con sempre più militarizzazione”, spiega Braun. "Noi invece vogliamo convincere più pubblico possibile che questa è la strada verso la catastrofe, verso una guerra nucleare. Non possiamo fare questo tipo di politica quando si vuole vincere la fame, molto più forte da quando c’è questa guerra. Come dovrebbero sopravvivere in Africa quando non ci sono più raccolti provenienti da Ucraina e Russia? Il nostro sarà un vertice per promuovere una politica di sicurezza comune, per dire che serve un processo di disarmo globale. Non è possibile spendere più di 2 trilioni di dollari per fini militari, quando le persone soffrono e non sappiamo come risolvere i problemi climatici".

Ma di pace si discute molto anche negli Stati Uniti. A Chicago, il prossimo 15 maggio, si riuniranno le associazioni CAPA (Chicago Area Peace Action), Codepink, Chicago Committee Against War and Racism e altri partner della DePaul University per chiedere soluzioni diplomatiche al conflitto. Attivisti per la pace provenienti da Ucraina, Russia e altri paesi invocheranno una riduzione dell'escalation militare. E, sempre negli Stati Uniti, il prossimo 20 maggio nella cattedrale ortodossa St Nicolas di Washington si terrà l’incontro "l'ecumenismo come movimento per la pace in Ucraina“. "Mentre le nazioni entrano in guerra, le chiese cristiane staranno insieme per testimoniare e lavorare per la pace”, spiega Larry Golemon, direttore esecutivo del Washington Theological Consortium.

Certo, una goccia nel mare, visto che dal punto di vista politico, il partito democratico del presidente Biden sembra essere più deciso a rovesciare Putin con enormi finanziamenti bellici che ad attivare la diplomazia. La stessa linea della Gran Bretagna di Boris Johnson, dove gli appelli della Peace Pledge Union, storico movimento pacifista inglese, hanno sempre meno presa sul pubblico, anche perché ignorati dai media mainstream di Londra.

Differente la situazione in Francia, dove se da un lato il movimento pacifista è in crisi al pari della sinistra, da sempre portavoce delle sue istanze, dall’altro il presidente Macron è il leader europeo più attivo nel cercare una soluzione pacifica alla guerra in Ucraina. Il più attivo dopo Papa Francesco, per cui la pace rimane la sola possibile soluzione.

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