Mondo
La crisi dei diritti
Presentato il rapporto mondiale di AI: dalla libertà di espressione alle esecuzioni capitali, il 2008 ai raggi X
Ogni minuto una donna muore per complicazioni legate alla gravidanza. Ogni sera 963 milioni di persone vanno a letto affamate. Un miliardo di persone vive in insediamenti abitativi precari. 2,5 miliardi di individui non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base. Sono casi emblematici: esprimono il nodo, talvolta indissolubile, che esiste fra povertà e diritti umani. Non a caso sono emersi nel corso della presentazione, avvenuta ieri a Roma (e in contemporanea a Londra e in altre città), del Rapporto 2009 di Amnesty International: La situazione dei diritti umani nel mondo (pubblicato in Italia da Ega).
2008, anno difficilissimo
L’indagine (di cui potete vedere alcune parti cliccando sugli allegati a fianco) si concentra sullo scorso anno, avviato dalla crisi in Kenya (aggravatasi dopo le elezioni politiche) e che si è chiuso con l’operazione Piombo fuso a Gaza (è stato anche il 60° della Dichiarazione dei diritti umani, firmata il 10 dicembre 1948). Come ogni anno, analizza – paese per paese, sono 157 – l’effettiva esigibilità di alcuni diritti fondamentali: dalla libertà di espressione (limitata nel 2008 in almeno 81 nazioni) alle esecuzioni capitali (2390 prigionieri, almeno, sono stati messi a morte in 25 paesi e il 78% delle esecuzioni ha avuto luogo nei paesi del G20); dalla pratica della tortura (eseguita in 80 nazioni) a quella delle detenzioni illegali (registrate in 90 paesi; e la buona notizia della chiusura di Guatanamo si appanna con la lentezza procedurale); dai rinvii forzati dei richiedenti asilo (avvenuti in almeno 27 paesi) agli sgomberi forzati (eseguiti in 24 nazioni).
Gli effetti della crisi
A questi dati, già preoccupanti, è andato sovrapponendosi, nel corso della seconda parte del 2008, l’effetto del peggioramento finanziario ed economico che ha sconvolto il mondo. E reso ancor più fragili i diritti. «Dietro a questa crisi economica», ha detto Christine Weise, presidente della sezione italiana di Amnesty, «si cela un’esplosiva crisi dei diritti umani». Una «bomba a orologeria» i cui effetti sono visibili ovunque. Nella crescente violenza perpetrata ai danni delle donne. Nel vertiginoso aumento dei prezzi che ha aggravato (conferma la Banca mondiale) la situazione di milioni di poveri. Nella reazione spesso dura che alcuni stati hanno scelto per tentare di contrastare la pressione migratoria. Povertà è molto spesso diventata sinonimo di insicurezza, disuguaglianza, ingiustizia, insicurezza: fattori che – sostiene Amnesty International – erodono il primo dei diritti, la dignità umana. «Le crisi sono interconnesse fra loro: ignorarne una per concentrarsi sull’altra», ha aggiunto Weise, «non fa che aggravarle entrambe. La ripresa dell’economia non sarà equa e non durerà a lungo se i governi non porranno fine alle violazioni dei diritti umani che creano e acuiscono la povertà e se non fermeranno i conflitti armati che generano nuove violazioni».
E il Belpaese?
Anche per l’Italia, il Rapporto segnala punti critici. In particolare per quel che riguarda le comunità rom, oggetto frequentemente di aggressioni e di sgomberi forzati (i rom e i sinti, sottolinea Amnesty, continuano «a non essere riconosciuti come minoranze nazionali»). Si sono inoltre verificati attacchi di «stampo razzista», mentre ancora non chiara è l’impostazione che l’Italia intende dare alla sua politica nei confronti dei richiedenti asilo. In generale, ha sottolineato Weise, «è in atto una criminalizzazione nei confronti degli extracomunitari che diventa elemento della campagna elettorale, costi quel che costi. Situazione aggravatasi con la politica dei respingimenti: in questo maggio 2009 circa 500 persone, fra cui molti richiedenti asilo, sono stati respinti».
Una nuova campagna
Il nesso diritti umani e povertà, messo in evidenza dal Rapporto 2009, diventa anche riferimento per la nuova campagna globale che Amnesty International sta per promuovere in Italia (si intitola Io pretendo dignità). E il cui presupposto è che lavorando sui diritti e promuovendoli si possa uscire meglio e con maggior rapidità dalla crisi economica. Diritti come chiave di volta per uscire dalla trappola della povertà che «non è una condizione naturale» (come disse Nelson Mandela) né tanto meno inevitabile.
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