L’housing sociale in Italia? «Debole, come in tutta l’area mediterranea. Ma con modelli virtuosi, che nonostante la crisi possono essere la strada da seguire per uscire dalle difficoltà». Luciano Caffini è il presidente nazionale di Legacoop abitanti e responsabile del settore cooperativistico di Cecodhas, la federazione europea di enti non profit e pubblici che si occupano di social housing, creata nel 1998 da coop italiane, francesi e tedesche e oggi formata da 49 organizzazioni di 15 Paesi della Ue.
Perché l’Italia è così indietro?
Parto con un’importante premessa: non si può fare una sintesi omogenea delle esperienze in atto in Europa perché ogni Stato ha il proprio modello, che dipende dalle singole specificità. Per esempio, in Francia il social housing è quasi tutto pubblico; in Germania c’è la compartecipazione pubblico-privato sociale; nel Nord Europa ci si affida a società partecipate degli stessi Comuni. Detto questo, la debolezza della situazione italiana è quella di altri Stati del Mediterraneo, e varia da una regione all’altra. In particolare da noi, dove l’apporto del settore pubblico è basato sull’autonomia regionale, si va incontro a esempi virtuosi o meno che dipendono molto dalle sensibilità locali, ovvero funzionano meglio dove ci sono cooperative più forti: ciò avviene per alcuni progetti in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana. In generale, comunque, la crisi economica non sta risparmiando nessuno.
Come muta lo scenario europeo in questa nuova situazione?
La spesa pubblica per l’alloggio sociale, in Italia come altrove, è destinata a ridursi sempre di più, se non in alcuni casi a scomparire del tutto. A questo stallo dei bilanci pubblici si aggiungono le ripercussioni della crisi del mercato immobiliare, oggi in caduta libera. Con quest’ultimo sta venendo meno una prassi che da noi è risultata importante in tempi recenti, quella delle negoziazioni rispetto alle costruzioni di nuove case: una percentuale di esse veniva infatti destinata all’edilizia sociale, anche grazie ai fondi immobiliari etici: un modello italiano finora vincente di finanza etica disponibile a essere remunerata poco, sostenuta in primis dalla Cassa depositi e prestiti.
In che modo devono cambiare le cooperative per rilanciare il settore?
Le cooperative di abitanti devono ripensare il proprio ruolo dal punto di vista sociale, economico e finanziario, ma anche per quanto riguarda la sostenibilità. Innanzitutto va realizzato un profondo percorso di orientamento e approfondimento su temi specifici come la segmentazione della domanda abitativa, la difficoltà di accesso al credito per cittadini e imprese, le dinamiche della “filiera” edilizia attuale. Il settore cooperativistico deve avere la capacità di riposizionarsi nel sistema, intercettando i nuovi mercati possibili e offrendo un servizio di welfare che abbia alla base una forte idea di mix sociale e comunità.
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