Salute

La costruzione della medicina di territorio passa anche dagli ospedali

«Bisogna svincolare la prestazione dal numero di ricoveri legando l’ospedale alla presa in carico», spiega Alberto Fontana, presidente di Fondazione Serena e Fondazione Aurora, sul numero del magazine di febbraio, «perché la continuità di cura presuppone la distribuzione delle risorse tra assistenza ospedaliera e territoriale secondo il bisogno del paziente e non secondo la committenza affidata»

di Alberto Fontana

La biografia di ciascuno è la premessa fondamentale per costruire una cura, con un approccio globale e multidisciplinare. Nel concreto può capitare che troppo spesso la persona con patologia cronica, come chi come me è affetto da una malattia neuromuscolare, venga inserita in un quadro clinico troppo distante dalle reali condizioni di vita, in particolare in un sistema sanitario come il nostro che tende ad omologare e standardizzare, in un approccio che ascolta, annota e definisce, ma che poi decide, inevitabilmente per tutti.


Questo effetto assume ancora più forza a causa dell’assenza di una medicina del territorio efficace che nel mio caso ha spinto nel tempo sempre più la mia comunità a sviluppare una cultura ospedale-centrica nel quale trovare rifugio. La sensazione è che quando una persona è obbligata a causa della sua malattia ad avere rapporti frequenti con ospedali, medici e farmaci, non è solo la malattia che diventa protagonista della sua vita, ma cambia la percezione del sé, del rapporto con il mondo e la patologia può essere vissuta come interruzione di autonomia e felicità personale.

Noi abbiamo bisogno di luoghi come i nostri Centri Nemo, il sogno che la mia comunità ha saputo realizzare e che continua ad alimentare ma il passaggio di senso nell’approccio sanitario deve sempre considerare la voce dei pazienti perché possano esprimere i loro reali problemi e le loro aspettative, nel quadro della famiglia di riferimento. Non è quindi solo un “essere qui per” la persona, con professionalità e responsabilità, ma deve spingersi ad “essere con”, una reciproca accoglienza e solidarietà, ove la decisione si costruisce insieme, non è subita passivamente, vale per il caso singolo ma può valere per tutti, trasforma il paziente in persona e ricerca la sua felicità.

L’ospedale è sicuramente per le nostre complessità la sede delle competenze specializzate, dove il paziente che deve superare un problema acuto, uno scompenso della sua malattia, trova un’équipe pronta ad intervenire con tutte le tecnologie e i mezzi terapeutici che servono. I nostri centri hanno ben chiaro questa missione e cercano di esprimere al meglio il ruolo dell’ospedale di alta specialità e assistenza dove professionalità e ricerca si uniscono per offrire le cure più adeguate. Le malattie neuromuscolari però sono presenti tutto l’anno, e siamo sempre più convinti che non si fermano alla prestazione di un centro ospedaliero. Diventa quindi sempre più urgente ripensare a nuovi modelli di servizio aprendo canali di accesso alle competenze professionali dei centri Nemo che vadano oltre il ricovero e che guardino alla medicina del territorio.

È fondamentale però che il ruolo degli ospedali sia contributivo alla realizzazione della medicina del territorio e che partecipi attivamente alla sua costruzione. Auspico la possibilità di attivare équipe di prossimità integrate, in cui …

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*Alberto Fontana, presidente di Fondazione Serena e Fondazione Aurora

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