La cultura dell’alibi. Julio Velasco, allenatore della nazionale di pallavolo italiana per quasi dieci anni, chiamava così uno dei grandi vizi dello sport italiano. Si perde perchè il tempo, gli infortuni, l’arbitro hanno condizionato il risultato, diceva il coach originario di La Plata.
Di questa cultura non è seguace l’allenatore dell’Udinese, Francesco Guidolin. Ieri sera, dopo la seconda eliminazione consecutiva ai play off di Champions League ad opera dello Sporting Braga, il tecnico di Castelfranco Veneto ha dichiarato senza problemi. “Forse non sono in grado di guidare una squadra in Champions League, è troppe volte che ci vado vicino e devo farmene una ragione”. E sull’eliminazione. “Passa la squadra che sul piano del gioco ha fatto di più. Questa non era l’Udinese, sappiamo giocare meglio e se non ci siamo riusciti l’allenatore deve prendersi le sue responsabilità”.
Ammettere che l’altro è stato migliore e dire davanti ai microfoni che si è sbagliato qualcosa è un gesto normale nello sport e nella vita. Ma non nel calcio italiano. Dove come diceva l’allenatore del Cagliari campione d’Italia Manlio Scopigno “il calcio è un castello le cui fondamenta sono le bugie. Io dico pane al pane e brocco al brocco e passo per un tipo bizzarro”. Guidolin ha vinto una Coppa Italia con il Vicenza, un campionato di Serie B con il Palermo e una Panchina d’oro riconoscimento al miglior tecnico italiano della massima serie. Ma non è mai stato chiamato ad allenare nessuna big. Forse perchè non è un mago, non è speciale e non si propone di cambiare il calcio. Fa semplicemente il suo lavoro.
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