Diritto di famiglia
La Corte costituzionale dice sì all’adozione aperta
L'adozione piena deve interrompere sempre i legami giuridici con la famiglia d'origine, ma non necessariamente quelli affettivi: lo dice l'attesa sentenza della Corte costituzionale sulla costituzionalità dell'articolo 27 della legge 184/83. Il giudice potrà prevedere, nell'interesse del minore, il mantenimento di alcuni rapporti: per esempio con un nonno
Nella sentenza di adozione piena, non si può presumere che l’interruzione delle relazioni di natura socio-affettiva con alcuni membri della famiglia di origine sia sempre e necessariamente nell’interesse del minore, come se l’adozione dovesse essere una rinascita del minore.
Il giudice quindi può valutare caso per caso se vi sono relazioni positive, la cui permanenza è nell’interesse del minore che anzi – al contrario – avrebbe un danno dalla loro interruzione.
Non vi è quindi una illegittimità costituzionale della nostra attuale legge sulle adozioni, ma quando nell’articolo 27 della legge 184/1983 si parla di interruzione dei rapporti con la famiglia di origine, il termine “rapporti” va interpretato nella direzione dei legami giuridico-formali di parentela – che vanno sempre interrotti necessariamente mentre non vanno necessariamente interrotte le relazioni di natura socio-affettiva.
È questa la sintesi della sentenza 183/2023 della Corte costituzionale, pubblicata oggi. A redigerla, la giudice Emanuela Navarretta. L’udienza sulla legittimità costituzionale dell’art. 27, terzo comma, della legge 184 del 1983 risale al 5 luglio scorso: a tema la possibilità o meno di prevedere nel nostro Paese l’adozione aperta, con cui cioè un minore entri a tutti gli effetti come figlio in una nuova famiglia, recidendo i legami giuridici con la famiglia di origine, ma possa mantenere – ove questo sia nel suo interesse – le relazioni significative che potrebbe avere maturato con qualche membro della famiglia di origine. Su VITA abbiamo molto approfondito la questione in vista dell’udienza di luglio e oggi è arrivata la sentenza (qui il testo della sentenza 183/2023 della Corte costituzionale).
La legge 184/1983 non è incostituzionale
Il primo punto, seppure più per addetti ai lavori, è questo. La Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate sull’articolo 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983: l’illegittimità sarebbe derivata eventualmente da una ingiustificata disparità di trattamento con l’adozione in casi particolari (art. 44 della legge n. 184 del 1983), ma trattandosi palesemente di due modelli di adozione distinti, la Corte ritiene che non vi sia ingiustificata disparità per quanto riguarda i loro diversi impatti sulle relazioni giuridico-formali come su quelle relazionali-affettive.
Di fatto la Corte ha affermato che, nell’adozione piena, la cessazione dei rapporti con i componenti della famiglia d’origine deve riguardare sempre i legami giuridico-formali di parentela, ma non necessariamente e non sempre le relazioni di natura socio-affettiva. Su quel piano non si può affermare a priori che la loro cessazione sia nell’interesse del minore.
Il testo della legge 184/1983, quando parla dell’interruzione dei rapporti giuridico-formali, lascia presumere che sia nell’interesse del minore, proprio in quanto abbandonato, interrompere anche le relazioni di fatto con i familiari biologici e la Corte riconosce che «in termini del tutto generali e astratti, simile presunzione è non irragionevolmente correlabile all’interesse del minore. L’esigenza di allontanare il bambino (o il ragazzo) da un passato per lo più doloroso e quella di assicurare la massima autonomia e serenità educativa ai genitori adottivi, dai quali dipende l’equilibrata crescita del minore, rendono, di norma, la cessazione delle relazioni di fatto con i componenti della famiglia d’origine coerente con l’obiettivo di tutelare l’adottato».
L’esigenza di allontanare il bambino da un passato per lo più doloroso e quella di assicurare la massima autonomia educativa ai genitori adottivi non deve però sottendere un divieto per il giudice di ravvisare in concreto un interesse dell’adottando a mantenere positive relazioni socio-affettive.
Emanuela Navarretta, sentenza 183/2023 della Corte costituzionale
Nel passaggio successivo però la sentenza introduce un elemento di novità: «Nondimeno, ove la suddetta presunzione dovesse essere interpretata in termini assoluti, sì da sottendere un divieto per il giudice di ravvisare in concreto un interesse dell’adottando a mantenere positive relazioni socio-affettive, si avrebbe un punto di rottura con i principi costituzionali posti a difesa degli interessi del minore e in specie della sua identità», scrive Emanuela Navarretta.
Richiamando la Cedu e la Convenzione sui diritti del fanciullo, sull’importanza delle radici per la costruzione dell’identità della persona, la Corte ricorda come vi sia un obbligo per gli Stati membri «di verificare in concreto se sia nel miglior interesse del minore mantenere contatti con persone, legate o meno da un vincolo di tipo biologico, che si sono occupate di lui per un tempo sufficientemente lungo» e afferma che «la tutela dell’identità del minore (e con essa il suo interesse a preservare positive relazioni di natura affettiva) non è compatibile con modelli rigidamente astratti e con presunzioni assolute, del tutto insensibili alla complessità delle situazioni personali».
La tutela dell’identità del minore (e con essa il suo interesse a preservare positive relazioni di natura affettiva) non è compatibile con modelli rigidamente astratti e con presunzioni assolute, del tutto insensibili alla complessità delle situazioni personali
sentenza 183/2023 della Corte costituzionale
Pertanto «non sarebbe coerente con le citate istanze una presunzione assoluta che postulasse immancabilmente una corrispondenza biunivoca fra la radicale cancellazione di ogni relazione socio-affettiva del minore con i propri familiari d’origine e il suo interesse a crescere serenamente nella nuova famiglia adottiva».
L’ermeneutica del termine “rapporti”
La legge italiana, oggi, fa questo? Secondo la Corte no. L’art. 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983 – così com’è – «non contempla un divieto assoluto di preservare relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine del minore». Il testo della legge, che parla di “rapporti”, è sì così ampio «da poter ricomprendere nella nozione di “rapporti” anche le relazioni di fatto», ma «è parimenti vero che l’espressione utilizzata è generica e, dunque, ben si presta, a fronte di un preminente interesse concreto del minore a veder preservate relazioni di tipo socio-affettivo a tutela del suo diritto costituzionalmente protetto all’identità personale, a tollerare una contrazione del riferimento ai “rapporti” ai soli legami di natura giuridico-formale».
L’espressione “rapporti” è generica e dunque ben si presta, a fronte di un preminente interesse concreto del minore a veder preservate relazioni di tipo socio-affettivo, a tollerare una contrazione del riferimento ai soli legami di natura giuridico-formale
sentenza 183/2023 della Corte costituzionale
Esistono d’altronde già – ricorda la sentenza – indici ermeneutici, orientati dai principi costituzionali, che consentono di individuare situazioni nelle quali emerge un preminente interesse del minore a veder preservate le relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine: «quegli stessi indici depongono nel senso che sia una presunzione solamente relativa quella secondo cui la rottura anche dei rapporti di fatto con i familiari biologici sia nell’interesse del minore stesso».
In particolare una revisione normativa della legge 184 risalente al 2001 prevede già che in presenza di «gravi e comprovati motivi», previa autorizzazione del tribunale per i minorenni, si possa infrangere il velo della segretezza che separa di norma la famiglia adottiva da quella d’origine: «quei medesimi motivi, e in specie il rischio che la rottura di talune relazioni socio-affettive possa cagionare al minore un pregiudizio, offrono una prima ragione per cui un provvedimento giudiziale, compreso quello che dispone l’adozione, possa autorizzare un superamento della netta linea di demarcazione con la famiglia biologica», scrive ora la sentenza.
Inoltre da sempre la legge 184 /1983 prevede che almeno un tipo di relazione socio-affettiva tra componenti della famiglia d’origine, quello tra fratelli e sorelle in stato di abbandono, sia oggetto di una espressa tutela, nell’interesse del minore: in conseguenza, per esempio, facilita il più possibile l’adozione congiunta di fratelli e sorelle. Quell’interesse quindi – sottolinea la sentenza – non può certo scomparire qualora i minori siano adottati da famiglie differenti.
Il cuore della sentenza
Il ragionamento quindi va a estendersi a relazioni analoghe, con chi nella famiglia di origine, come un fratello o una sorella, non soltanto non è responsabile dello stato di abbandono ma è stato spesso l’unico sostegno morale del minore: «frequentazioni assidue e positive con familiari biologici, che non possono sopperire al suo stato di abbandono, [ma che] sono tali da poter palesare in concreto un interesse del minore a mantenere relazioni di tipo socio-affettivo», afferma la sentenza. «Potrebbe, per ipotesi, trattarsi di nonni, impossibilitati a farsi carico dell’assistenza del minore per età o per condizioni di salute, ma che rappresentano un importante punto di riferimento affettivo».
Ed ecco il cuore della sentenza: «In sintesi, positive relazioni particolarmente strette e assidue con familiari che non possono sopperire allo stato di abbandono del minore, quali sono emblematicamente (ma non di necessità soltanto) i fratelli e le sorelle, possono – tanto più in circostanze che richiedono una tutela potenziata del minore – orientare l’interprete verso l’individuazione di un interesse preminente dello stesso a vedere preservate relazioni affettive, la cui rottura potrebbe cagionare traumi ulteriori al soggetto da proteggere».
L’ascolto del minore diventa cruciale
Come accertare in concreto l’esistenza di positive relazioni e la sussistenza di un preminente interesse del minore al loro mantenimento? «Nel corso del procedimento di adozione, il giudice si avvale non soltanto del supporto dei servizi sociali, che svolgono approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore [e] sull’ambiente in cui ha vissuto», scrive la sentenza, «ma è tenuto soprattutto ad ascoltare, in tutte le fasi del procedimento, il minore stesso e, se questi ha compiuto i quattordici anni, ad attenersi alla sua volontà». Il giudice può, dunque, «ben verificare se ricorrano in concreto quei gravi motivi che inducono a ritenere pregiudizievole recidere una relazione socio-affettiva con chi in passato ha intessuto con il minore relazioni positive, che hanno rappresentato un punto di riferimento affettivo nel suo processo di crescita e che appartengono alla sua memoria. La combinazione di indici astratti e di accertamenti di fatto consente, pertanto, al giudice di vincere la presunzione, sottesa all’art. 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983, che la cessazione delle relazioni socio-affettive, in conseguenza della rottura del legame giuridico-parentale, sia in concreto nell’interesse del minore».
Che succede ora?
La sentenza ribadisce che «nell’individuazione dei genitori destinatari dell’affidamento preadottivo», «la scelta debba ricadere sulla coppia “maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore”, esigenze cui certamente deve ascriversi quella di mantenere positive relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine».
Nell’individuazione dei genitori destinatari dell’affidamento preadottivo, la scelta debba ricadere sulla coppia “maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore”, esigenze cui certamente deve ascriversi quella di mantenere positive relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine
sentenza 183/2023 della Corte costituzionale
La coppia affidataria può essere resa immediatamente edotta dell’interesse primario del minore a mantenere positive relazioni socio-affettive già consolidate e, sin dalla fase dell’affidamento preadottivo, può verificare l’impatto degli incontri sul minore.
«Il giudice è tenuto a modulare il provvedimento di adozione, tenendo conto dei diversi interessi coinvolti. Nel rispetto della responsabilità genitoriale, che compete agli adottanti, può affidare ai servizi sociali l’organizzazione degli incontri, ma stabilendo che siano adeguatamente ponderate le esigenze fatte valere dai genitori adottivi nell’interesse del minore. In aggiunta, il giudice è tenuto a preservare le istanze di riservatezza e che sono, in generale, riferibili al minore, alla famiglia adottiva e al componente della famiglia d’origine (e, se si tratta di un minore, anche a chi lo rappresenta): a tal fine può prevedere che gli incontri si svolgano in un luogo protetto e con l’assistenza dei servizi sociali».
Foto di Ekaterina Shakharova su Unsplash
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