Non profit
La corsa al referendum è un fiume in piena
Il punto sulla campagna contro la privatizzazione
In due settimane raccolte già 350mila firme. Ma cosa prevedono i tre quesiti proposti dal comitato? Una piccola guida per saperne di piùVenderesti tua madre? No. E allora firma i tre quesiti referendari. Per mobilitare gli italiani contro il cosiddetto decreto Ronchi che spalanca le porte all’ingresso dei privati nella gestione dei servizi idrici, serviva il botto. Uno slogan ad effetto che non lasciasse indifferente neanche il più distratto dei passanti davanti ai banchetti del Forum italiano dei movimenti per l’acqua pubblica. E botto è stato. In due settimane, l’arcipelago delle associazioni che si oppone alla svendita dell’oro blu, ha raccolto già 350mila firme. Ben oltre metà di quelle utili.
Un interrogativo – venderesti tua madre? – che si spiega con un sillogismo. Se l’acqua è madre e la mamma non è una merce, l’acqua non si può vendere. Le ragioni giuridiche del no alla “privatizzazione” degli acquedotti le hanno chiarite invece in una lunga nota alla Cassazione i sei giuristi, fra cui Stefano Rodotà, che hanno scritto i tre quesiti. Tre le norme di cui si propone l’abrogazione. La prima è la legge che prende il nome, appunto, dal ministro per le Politiche europee, Andrea Ronchi. Il Comitato promotore propone di cassare l’articolo 23 bis della legge 133/2008 sulla liberalizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. È il cuore del decreto: prevede come modalità ordinarie di gestione degli acquedotti l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato nelle quali il privato, scelto attraverso gara, detenga almeno il 40%.
Gli altri due quesiti, invece, puntano il dito contro il Codice dell’Ambiente (dlgs n. 152/2006). Il primo dei due mira ad aprire la strada alla ripubblicizzazione degli acquedotti attraverso l’abrogazione dell’articolo 150. Quattro commi, per la precisione, che definiscono come uniche modalità di affidamento del servizio idrico la gara o la gestione attraverso società per azioni a capitale misto pubblico privato o a capitale interamente pubblico. Secondo il Forum, lo stop a questa norma del Codice, «non consentirebbe più il ricorso né alla gara né all’affidamento della gestione a società di capitali, favorendo il percorso verso l’obiettivo della gestione del servizio idrico attraverso enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali». Con il secondo no al Codice dell’Ambiente (terzo quesito), i referendari chiedono di eliminare il passaggio dell’articolo 154 che dispone che la tariffa per il servizio idrico sia determinata tenendo conto dell’«adeguatezza della remunerazione del capitale investito».
Si tratta, secondo il Forum dell’Acqua, del cavallo di Troia che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici. La parte del primo comma che si chiede di abrogare, infatti, consente al gestore «di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio».
Contro il decreto Ronchi è schierata anche l’Italia dei valori, che tuttavia ha proposto un solo quesito referendario ma ha invitato a sottoscrivere anche quelli del Forum. Il partito di Di Pietro paventa che l’effetto combinato dei tre quesiti promossi dall’arcipelago dei movimenti crei un vuoto normativo e dunque metta a rischio la stessa ammissione da parte della Corte costituzionale. Una tesi respinta dal Forum in quanto anche in caso di abrogazione degli articoli 23 del decreto Ronchi e 150 del Codice dell’Ambiente, i Comuni potrebbero gestire il servizio idrico tramite le aziende speciali, soggetti cioè di diritto pubblico.
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