Sostenibilità

La corsa ai pannelli nel paese del sole

Così l'Italia è diventata il secondo mercato al mondo del fotovoltaico

di Silvano Rubino

Il 2010 sarà ricordato come l’anno del boom del solare. Effetto (anche) della cronica incertezza sul futuro degli incentivi. Incertezza che ha colpito, nella manovra di Tremonti, anche l’energia eolica. Ma che ne sarebbe delle rinnovabili senza gli aiuti pubblici?
È un’esperienza che capita a un numero sempre maggiore di persone, in questi ultimi tempi. Vedere quello che era un semplice tetto, il tetto della casa dei vicini, coprirsi di pannelli solari fotovoltaici, trasformarsi quindi in una piccola centrale elettrica. E domandarsi: ma se lo fa lui perché non lo posso fare anch’io? E poi: ma converrà? Quanto mi costa? Mi fa risparmiare? Il vicino allora informa che esiste un meccanismo, chiamato Conto energia, che rende l’installazione dei pannelli non solo conveniente, ma quasi un affare.
Il boom del fotovoltaico all’italiana funziona anche così, con il passaparola, i rapporti di vicinato. Ed è un boom certificato dai numeri. «Crediamo che a fine 2010 arriveremo in Italia a 2.500 MW, con un totale di almeno 130mila impianti fotovoltaici e una produzione annuale che si attesterà intorno ai 2 miliardi di chilowattora», ha annunciato qualche settimana fa Gerardo Montanino, direttore operativo del Gse – Gestore servizi elettrici. Numeri che fanno dell’Italia il secondo mercato mondiale di questo tipo di energia, dopo la “solita” Germania e prima degli Stati Uniti, con la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro e l’abbattimento di emissioni di CO2. Un boom dove i piccoli produttori (quindi anche quelli domestici) la fanno da padrone: dei 39.266 nuovi impianti installati nel 2009 ben 19.485, circa il 50%, hanno potenza compresa tra 3 e 20 kW. Un ulteriore 43% è costituito dagli impianti piccoli (1-3 kW), solamente il 7% è la quota di quelli maggiori di 20 kW.
Il Conto energia, che paga l’elettricità prodotta con il fotovoltaico a tariffe agevolate, è stato un volàno fortissimo, che ha portato a una crescita impressionante, soprattutto in questi ultimi mesi. L’incentivo è in scadenza a fine 2010: per non perdere la possibilità di usufruirne, in molti si sono affrettatti a installare le celle. Anche se pare ormai certo che il meccanismo verrà rinnovato anche per i prossimi anni (vedi intervista accanto, ndr), hanno preferito scegliere il certo per l’incerto.

Incertezza sovrana
Una situazione tipica degli incentivi per le rinnovabili in Italia: «Si va avanti così da anni: instabilità e incertezza, regole cambiate in continuazione, anche con investimenti già realizzati, caricando su chi investe un rischio altissimo», spiega Clara Poletti, direttore dello Iefe della Bocconi, istituto specializzato sul tema delle rinnovabili. L’ultimo esempio della serie è nella manovra sui conti pubblici di Tremonti, all’articolo 45, dove di fatto si affossa un altro dei pilastri degli incentivi alle rinnovabili, quello dei certificati verdi, dei quali hanno beneficiato in modo particolare i produttori di energia eolica. «Una norma assurda», attacca Giuseppe Onufrio, direttore generale di Greenpeace Italia. «Perché inserire in una manovra una voce che non tocca il bilancio dello Stato (tutti gli incentivi vengono pagati dai singoli consumatori, con un’apposita voce in bolletta, ndr)? Si tratta di un automatismo che rivela l’ispirazione di questa maggioranza, che punta sul nucleare e firma mozioni contro chi da anni certifica in maniera scientifica il cambiamento climatico in atto». «È un esempio lampante di cosa non bisogna fare in questo campo», concorda Poletti, «si scardina l’intero sistema, mentre si sarebbe potuto, volendo, riformarlo, per esempio rendendo gli incentivi meno generosi, facendo dei cambiamenti».

Obiettivo competitività
Ma – obiettano in molti – questi incentivi, pagati in bolletta, alla fine non “drogano” il mercato? Non sarebbe meglio lasciare che l’energia rinnovabile si sviluppi da sé senza questi aiuti? «Gli incentivi sono indispensabili: i costi per produrre energia da queste fonti sono ancora molto più alti rispetto alle fonti tradizionali. E l’Italia si è presa un impegno preciso con l’Europa: arrivare al 17% di energia prodotta da queste fonti entro il 2020. Gli incentivi andrebbero quindi stabilizzati, perché c’è bisogno di guidare questo sistema in una logica di medio-lungo termine, per puntare a una riduzione dei costi». «Gli incentivi servono, magari vanno adattati e modificati periodicamente, ma è impensabile abolirli. In tutto il mondo vengono utilizzati», aggiunge Onufrio, «è l’unico modo per colmare il gap tecnologico e rendere competitive queste tecnologie». Per il fotovoltaico è accaduto: «Il costo delle celle», spiega Onufrio, «negli ultimi 20 anni è sceso del 22% ogni qual volta si è raddoppiata la potenza installata».
Discorso simile per l’eolico: i dati pubblicati dall’Ewea – European Wind Energy Association posizionano infatti il nostro Paese al terzo posto in Europa per nuova capacità installata nel 2009, anche se ancora ben distaccata dai leader del settore, Germania e Spagna. In Italia la potenzialità è aumentata l’anno scorso di 1.114 MW, un 11% di quella europea, con circa 25mila occupati nel settore. Senza il sistema dei certificati verdi, l’intero settore verrebbe messo in ginocchio, anche perché le banche concedono finanziamenti sulla base delle attuali condizioni, cioè con gli incentivi in vigore. Contro la norma si è alzata la voce di Emma Marcegaglia: in molti scommettono che verrà stralciata durante l’iter parlamentare della Manovra.
Resta, secondo Onufrio, un tema culturale di fondo: «Il tentativo è coerente con la posizione demenziale, antiambientalista del centrodestra italiano. Che non capisce dove sta andando l’Europa. Il programma del nuovo governo conservatore inglese, per fare solo un esempio, se non fosse per il nucleare, sarebbe in gran parte sottoscrivibile anche da Greenpeace».

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