Formazione

La corporationsale in cattedra Alto tasso di abbandoni, una preparazione molto carente: l’istruzione è il punto debole del sistema America. Cosìi big dell’economia provano a correre ai ripari di Martino Pillitteri

usa Aziende in soccorso della scuola pubblica

di Redazione

L’american Dream rimarrà un mito se ogni anno un milione e duecentomila studenti americani continuerano a non terminare gli studi superiori. Le aziende americane non riusciranno ad essere competitive nell’economia globale, soprattutto nel confronto con potenze emergenti come Cina e India, se i futuri diplomati e i prossimi laureandi non riceveranno un’adeguata ed innovativa formazione scientifica ed umanistica.
Dati e statistiche lasciano poco scampo: ogni 29 secondi, negli Stati Uniti, uno studente liceale decide di non continuare gli studi. Si tratta, in maggioranza, di studenti ispanici e neri. Ma anche per chi va avanti negli studi superiori, i risultati non sono incoraggianti: il livello di preparazione nelle materie scientifiche degli studenti americani è inferiore a quello dei liceali di Giappone, Singapore, Corea del Sud, Taiwan; è di pari livello rispetto a quello degli studenti in Slovacchia e Estonia; è superiore a quello degli studenti di Egitto ed Arabia Saudita.
I risultati li mette in evidenza spietatamente uno studio del National Geographic, secondo il quale il 63% degli studenti americani non sa indicare l’Iraq sul mappamondo. Il 50% non sa dove si trova l’India e il 75% non è stato in grado di indicare Israele davanti a una carta geografica del Medio Oriente. Il 60% non parla un’altra lingua straniera.
Aveva dunque ragione Bill Gates, quando, qualche anno fa lanciava l’allarme: «Formare la classe lavoratrice di domani», ha detto il patron di Microsoft, «con gli standard della scuola superiore di oggi equivale ad insegnare ai bambini come usare i computer con una conoscenza dell’Information technology di 50 anni fa. Fino a quando i programmi delle scuole pubbliche non si adatteranno alle esigenze e alle nuove dinamiche del ventunesimo secolo, continueremo a limitare le opportunità di milioni di americani».
E allora, come spesso capita negli Stati Uniti quando il cambiamento non viene da Washington, ecco intervenire Silicon Valley e Wall Street. In effetti qualcosa sta cambiando nel rapporto tra il mondo del business e le scuole pubbliche. Non solo le aziende sono diventati i veri barometri che misurano la preparazione dei giovani americani, ma l’epoca in cui le aziende fanno un po’ di pubbliche relazioni donando assegni agli istituti scolastici più fatiscenti senza parametri di performance in contropartita, sembra avere i giorni contati.
Ora sono le grandi corporation ad entrare nelle classi con programmi mirati per studenti e professori. Gli esempi non mancano.
La Exxon Mobil ha creato un fondo di 125 milioni di dollari per finanziare corsi di matematica, di materie scientifiche e tecniche di problem solving nelle scuole pubbliche; Ibm offre un corso on line chiamato Reinventing Education ideato per l’aggiornamento e la formazione degli insegnanti, e fornisce ad alcune scuole software disegnati appositamente per valutare e ottimizzare dati relativi alla performance degli studenti; Intel, con il progetto Teach for the Future, offre dei corsi di aggiornamento con un focus particolare sull’information technology, e su come valorizzare l’uso di pc nelle classi; Citigroup porta in alcuni istituti competenze finanziarie e neologismi economici; Texas Instruments ricompensa con piccole borse di studio gli studenti nelle scuole di Dallas che si iscrivono e passano corsi di aggiornamento professionale nel doposcuola.
Altri gruppi come Ernst&Young e grosse fondazioni come quella di Bill e Melinda Gates, invece, investono e si adoperano per far mettere il problema della riforma scolastica pubblica in cima all’agenda dei due candidati presidenziali alla Casa Bianca.
Perché da sole, evidentemente, Silicon Valley e Wall Street non possono risolvere il problema.


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