Non profit

La cooperazione sociale scrive il suo nuovo Dna

Verso il congresso dell'8-9 ottobre: «Il welfare che vogliamo?»

di Luca Zanfei

1.624 cooperative sociali con un fatturato complessivo di oltre 2 miliardi (oltre il 20% in più in soli due anni), con un quinto delle imprese con giri d’affari superiori
ai 2 milioni. Cinque anni di grande crescita a cui, da domani, deve corrispondere un cambio di strategia: «Meno pubblica amministrazione, più imprenditoria» «Dare futuro», potrebbe essere lo slogan del prossimo congresso di Legacoopsociali. D’altronde è proprio quel semplice proposito che campeggia al centro del documento programmatico a sintetizzare al meglio lo spirito delle due giornate in programma a Roma per l’8 e il 9 di ottobre. “Dare futuro” a un nuovo welfare incentrato sulla persona, ma allo stesso tempo “dare futuro” a quel modello di cooperazione sociale che al momento «pur così innovativo nella sua origine e nel suo percorso non è sufficiente a garantire prospettive sicure di sviluppo», spiega il vicepresidente di Legacoopsociali, Sergio D’Angelo. «C’è bisogno di una solida e condivisa “visione” di società e di welfare rivolta al futuro». E per questo è necessaria «un’analisi senza reticenze, senza soverchie indulgenze autoreferenziali, dell’esperienza e del modello consolidato».

Crescita continua
Quello stesso “modello” che ha permesso finora a Legacoopsociali di porsi come interlocutore credibile sia a livello locale che nazionale. Numeri alla mano, dalla sua nascita nel 2005 ad oggi, l’associazione ha registrato una crescita significativa. Partita con circa 1.400 aderenti, oggi – secondo i dati dell’istituto statistico della Lega riferiti al 2007 – Legacoopsociali raggruppa 1.624 cooperative sociali con un fatturato complessivo di oltre 2 miliardi di euro (oltre il 20% in più in soli due anni). Risultati ottenuti grazie a un modello di sviluppo che ha permesso di affiancare alle piccole dimensioni tipiche della cooperazione sociale, forme imprenditoriali più strutturate e innovative. Così, se già nel 2005 le cooperative sociali Legacoopsociali che fatturavano oltre 2 milioni erano il 14% del totale associato – quasi il doppio rispetto al dato complessivo rilevato dall’Istat – oggi superano il 20%. E in qualche caso si arriva ad importi di oltre 50 milioni di euro.
I risultati si vedono anche a livello occupazionale, tanto che una cooperativa Legacoopsociali in media riesce a impiegare circa il doppio dei lavoratori di una cooperativa “Istat”. Come è ovvio le eccellenze si concentrano quasi esclusivamente in Emilia, Toscana e Piemonte, dove si registrano le cooperative di dimensioni più grandi. Il dato evidenzia il background storico della cooperazione nel Centro-Nord del Paese, che anche per Legacopsociali rimane la zona con più alta concentrazione di imprese sociali. Nonostante questo, rispetto alle rilevazioni dell’Istat si registra un lento spostamento verso il Centro, con percentuali intorno al 26% del totale, e il Sud e le Isole, con il 35%. In particolare la Sicilia con 201 cooperative è la regione con maggior concentrazione di imprese, prima persino dell’Emilia Romagna.

Oltre l’assistenza
Anche per quanto riguarda le tipologie di impresa, Legacoopsociali registra una sostanziale differenza rispetto al complesso delle cooperative Istat. Pur mantenendo una prevalenza di tipologie A (il 57%) negli ultimi tre anni Legacoopsociali ha visto crescere la presenza di cooperative di inserimento lavorativo (37%) soprattutto in Lazio, Emilia Romagna e Sicilia. Si pensi che solo nel 2005 le cooperative di tipo A pesavano per oltre il 60%, più della media nazionale Istat, a scapito delle tipologie B, che con il 30% si attestavano al di sotto del trend complessivo (33%). Segno questo di una sostanziale attenzione per le nuove forme di autoimpresa e le politiche di inclusione socio-lavorativa.
Nonostante le continue spinte all’innovazione, Legacoopsociali rimane però ancora legata a doppia mandata alle pubbliche amministrazioni. Ecco perché, a quanto si legge nelle piattaforma programmatica, il punto nodale di una nuova strategia deve essere il graduale cambiamento di prospettive che dalla semplice “fornitura” di esclusiva committenza pubblica, deve portare la cooperazione sociale a «forme più mature di partnership» così da «contribuire alla programmazione, progettare e innovare servizi e processi produttivi». L’obiettivo è quello di contribuire efficacemente alla costruzione di una nuova visione di welfare, non più in «funzione risarcitoria o di mera tutela assistenziale», ma come «bene pubblico» che «si connoti come promotore di opportunità e di autonomia». Un nuovo welfare capace di «mettere la persona al centro delle politiche, come soggetto protagonista», promuovendo equità, inclusione, legami sociali e coesione. Cosi, sempre secondo il documento politico, i pilastri del nuovo sistema di presa in carico dovranno essere principalmente le politiche di contrasto alla povertà, di sostegno all’occupabilità, in primo luogo per quei soggetti che partono “svantaggiati”, o ancora di incentivazione all’abitare o di sviluppo economico e sociale del territorio.

Nuove strategie
Ma per proporsi come soggetto realmente credibile, la cooperazione Legacoopsociali dovrà fare un ulteriore passo in avanti, anche proponendosi come «soggetto capace di dare risposte qualificate, economicamente sostenibili alla fascia crescente di domanda sostenuta, in tutto o in parte, da finanziamento privato». Necessario diventa così rivedere le proprie strategie interne. A partire dalla «verifica degli strumenti consortili già esistenti e peraltro in crescita» e dal ripensamento delle strategie di rete che per la cooperazione di tipo B vuol dire «attualizzare, articolare ed arricchire le proprie filiere di produzione e di offerta», e in generale significa attivare e proseguire «percorsi strutturati di confronto, nella cornice della comune appartenenza al terzo settore».

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