Politica

La cooperazione decentrata? È incostituzionale

Perché la Consulta boccia le leggi regionali in materia

di Francesco Dente

Un destino infausto incombe sulle leggi regionali in materia di cooperazione internazionale. Infausto perché segnato in partenza. Quando il governo le impugna, la Consulta le boccia. È costretta, anzi, il più delle volte a dichiararle incostituzionali. È già successo per le norme della Provincia di Trento, della Valle d’Aosta e della Calabria. E non è detto che non si ripeta. Il motivo è semplice: gli aiuti allo sviluppo, in base alla legge 49 dell’87 sulla cooperazione internazionale, sono «parte integrante» della politica estera italiana. Quest’ultima, a sua volta, è di competenza esclusiva dello Stato. Le Regioni, dunque, non possono disciplinare una materia – la politica estera appunto – che esula dalla loro sfera di potere.
Un quadro normativo, lamentano però le Regioni, che aveva le sue buone ragioni fino a un decennio fa, prima cioè della revisione costituzionale del 2001. Ora invece appare troppo restrittivo. Per tre ragioni. Perché limita la novità introdotta dalla riforma della Costituzione: e cioè il cosiddetto “potere estero” regionale (si veda box). Perché, secondo motivo, frustra l’impegno organizzativo ed economico messo in piedi dalle amministrazioni regionali in favore dei Paesi poveri. E perché, infine, rallenta l’adeguamento delle vecchie leggi regionali alle nuove previsioni costituzionali. «Le Regioni hanno paura a legiferare in materia perché temono la bocciatura della Corte costituzionale», osserva Gildo Baraldi, direttore dell’Oics – Osservatorio interregionale per la Cooperazione allo sviluppo, una struttura della Conferenza delle Regioni. Solo Emilia-Romagna, Marche e Puglia hanno licenziato delle discipline in materia di cooperazione internazionale dopo il 2001. Nella maggior parte dei casi risalgono invece ai primi anni 90. Il punto, sottolineano i giuristi, è che sebbene il nuovo testo costituzionale risulti sovrabbondante (se non oscuro) nella parte in cui si occupa del “potere estero” regionale, c’è tuttavia un dato di fondo che traspare: il favore per la proiezione internazionale delle autonomie territoriali. Proiezione, è bene precisare, che non significa certo autonoma politica di cooperazione decentrata. La legge 49 sugli aiuti allo sviluppo prevede, infatti, in capo alle Regioni solo poteri di proposta e di attuazione. Serve sempre, infatti, il placet del ministero degli Esteri sulle iniziative progettate.
C’è una via di uscita? Secondo il professor Davide Strazzari dell’università di Trento, autore di uno studio sulla rivista Le Regioni, la soluzione consiste nell’introdurre procedure concertative fra centro e periferia analoghe a quelle previste dalla legge La Loggia (131/2003) in materia di “relazioni internazionali” delle Regioni. In questa direzione si muove l’intesa fra Conferenza delle Regioni e governo firmata lo scorso dicembre e rilanciata a metà giugno in un incontro col ministro degli Esteri, Frattini. Le Regioni, tuttavia, sono diffidenti. «Sulle politiche di cooperazione», sottolinea il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, «incontriamo dal centro ancora troppe resistenze». E questo nonostante le autonomie abbiano investito nel 2008 ben 50 milioni nella cooperazione nel 2008.

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