Medio Oriente
La cooperante italiana: «In Libano viviamo in uno stato di allerta altissimo»
Francesca Lazzari è la responsabile Paese per fondazione Avsi. «Dopo l’attacco alla periferia di Beirut siamo in allerta e in attesa», dice. «Non sappiamo né come né quando la situazione degenererà e l’escalation potrebbe riguardare non solo il Libano, ma anche tutta la regione. I bisogni umanitari, soprattutto al Sud, continuano ad aumentare»
di Anna Spena
Nel Sud del Paese sono quasi 100mila gli sfollati interni dopo il 7 ottobre. Da quel giorno, nel raggio di 10 km dal confine meridionale libanese con Israele, sono iniziati scambi di fuoco quotidiani tra le forze israeliane e Hezbollah: i distretti più colpiti sono quello di Bint Jbeil, Marjayoun, Hasbaya e Tyre.Il confine tra il Nord di Israele e il Sud del Libano, roccaforte di Hezbollah (organizzazione paramilitare islamista sciita e antisionista libanese), è un lembo di terra caldissimo, da anni è presidiato dalla Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite – Unifil. Da gennaio 2024, i bombardamenti si sono estesi ulteriormente, coinvolgendo i distretti di Nabatieh e Jezzine. Attualmente i bombardamenti più intensi rimangono concentrati nelle aree entro 10 km dalla Linea Blu.
«Ma dopo l’attacco dell’esercito israeliano nella periferia di Beirut», racconta Francesca Lazzari, responsabile Paese per fondazione Avsi, «la tensione non è mai stata così alta. Nell’attacco sono morti un comandate di Hezbollah e diversi civili, tra cui minori. Il livello di allerta nel Paese, dopo lo scorso sette ottobre, non ha mai smesso di salire, ma ora siamo tutto in una situazione di allerta molto più elevata. Direi di allerta e anche di attesa perché non sappiamo se ci sarà o no un’escalation, non solo nel Paese, quindi in Libano, ma in tutta la regione».
Fondazione Avsi è presente in Libano dal 1996, l’ong era arrivata per far fronte all’emergenza socio-sanitaria del dopoguerra e per promuovere progetti in educazione. Oggi la maggior parte dei progetti provano a rispondere alla grave crisi economica e sociale per garantire accesso all’educazione e opportunità di formazione e lavoro ai rifugiati e alle comunità libanesi ospitanti. «In questo momento», continua Lazzari, «i nostri interventi vanno avanti. Il bisogno di assistenza umanitaria, già prima elevato, negli ultimi mesi è aumentato in maniera tangibile. Solo che a fronte dell’innalzamento del bisogno non c’è stato nessun aumento delle risorse dei diversi Paesi. Il 40% delle famiglie che sosteniamo ora sono sfollate, forniamo supporto finanziario mensile ai gruppi più vulnerabili e ai minori supporto scolastico, perché dallo scorso ottobre, tutte le scuole del Sud del Paese sono chiuse e offrono solo didattica da remoto: la performance degli studenti è calata e il rischio di abbandono scolastico è molto concreto. Forniamo supporto psicosociale ai bambini e alle famiglie, sia da remoto che in presenza, laddove le condizioni di sicurezza lo permettono. A Saida e Nabatiye, sempre nel Sud del Paese, continuiamo ad operare in presenza. Continuiamo anche ad equipaggiare con materiale medico dei centri comunitari del ministero a Sud del Paese: il bisogno di medicinali è aumentato».
Il Libano da diversi anni sta vivendo una crisi economica e sociale senza precedenti. Nel Paese vivono circa 490mila rifugiati palestinesi, e secondo le stime del Governo il Libano ospita anche 1,5 milioni di rifugiati siriani. «Molti rifugiati che vivevano al Sud», dice Lazzari, «si sono spostati nella valle della Beqā, altri nei dintorni Beirut. Alcuni cittadini stanno iniziando a lasciare preventivamente il Paese».
Persone camminano vicino all’edificio colpito da un attacco aereo israeliano nella periferia sud di Beirut, in Libano, martedì 30 luglio 2024. Foto AP/Hussein Malla
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