Non profit
La coop che coltiva fichi dindia anti mafia
Coltivano terreni confiscati alla mafia, impiegando soggetti svantaggiati e applicando rigorosi criteri biologici.
di Chiara Sirna
Coltivano terreni strappati alla mafia, danno lavoro a chi avrebbe difficoltà a trovarne uno in aziende ?normali? e tra tutte le cause hanno sposato quella bio. A conti fatti, sono una risorsa sociale e ambientale nel cuore delle roccaforti delle cosche, tra Corleone, Canicattì e Monreale. La scelta di chiamarsi ?Lavoro e non solo? non è casuale.
Perle rare? Può darsi, ma in fondo di straordinario hanno avuto soltanto l?idea, la forza di realizzarla e poi farla crescere. Giorno dopo giorno. Per il resto sono persone comuni, come tante, sfornate dai classici corsi di laurea: agronomi, commercialisti, operatori sociali. Insomma, c?è chi lavora nei campi nel senso letterale del termine, chi fa quadrare i conti e chi si occupa dell?inserimento lavorativo di malati psichiatrici. A ognuno il suo: in tutto sono 13 teste, 8 soci lavoratori e 5 soggetti svantaggiati.
«Coltivare senza nessun rispetto per la natura è da folli, non rendersene conto però è da idioti», dice Giuseppe Cascio, per gli amici Peppino, che in quest?avventura ci è finito per caso e per passione.
«Mi mancavano tre o quattro esami alla laurea», racconta, «stavo facendo il servizio civile in cooperativa e chiesi al presidente di mettermi alla prova come agricoltore». Il resto è venuto da sé, a catena: prima la laurea in Scienze agrarie a Palermo, poi il master di specializzazione in agricoltura biologica, la collaborazione in uno studio professionale e l?insegnamento nei corsi regionali per dirigenti di aziende agricole votate alle colture bio.
In meno di sei anni la cooperativa ?Lavoro e non solo? ha fatto passi da gigante: dai primi 10 ettari di terreno infatti è arrivata a coltivarne 112. «Associandoci all?Arci», spiega Cascio, «siamo entrati in contatto con Libera, che ci ha messo a disposizione le terre in comodato d?uso». Quelle di Monreale e Corleone sono state assegnate dal Consorzio Sviluppo e legalità e quelle di Canicattì invece dal Comune. E così oggi dalle vecchie proprietà dei boss mafiosi Lojacono e Marino nascono tonnellate di pomodori, ceci, lenticchie e grano duro, trasformato poi in farina biologica e, nella fase conclusiva, in pasta artigianale. Rigorosamente fatta a mano.
Tra poco più di un anno, invece, partirà a pieno regime anche la coltivazione di fichi d?India. «Li abbiamo già piantati», aggiunge Cascio, «ma entreranno in produzione nel 2007». Giusto il tempo, dunque, che la natura faccia il suo corso.
Intanto, negli ultimi due anni, i campi della cooperativa sono diventati dei veri e propri laboratori di formazione e legalità. Durante l?anno ospitano laureandi e tirocinanti della facoltà di Agraria di Palermo, in uscita dai corsi di laurea in Agricoltura biologica. D?estate, invece, sono solcati da giovani provenienti da tutte le parti d?Italia per campi di lavoro e non solo».
«Siamo già alla seconda esperienza e molto probabilmente la ripeteremo anche quest?anno», conclude Peppino Cascio, «al mattino normalmente gli ospiti danno una mano ai nostri ragazzi, nel pomeriggio invece visitano la zona e partecipano a incontri sulla mafia organizzati da Libera e Arci».
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