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La convivenza vale per adottare?
La nuova legge in materia di adozione ha esteso l'accesso a tale istituto anche alle coppie che convivano da tre anni.
Siamo una coppia sposata da soli nove mesi, ma abbiamo compiuto questo passo dopo una convivenza durata oltre sei anni. Ora noi vorremmo adottare un bambino. Ci viene un dubbio dal momento che la residenza di quella che ora è mia moglie, ma con la quale ho convissuto per oltre sei anni, non era stata modificata. Tuttavia abbiamo una serie di prove e documentazioni che attestano che la nostra convivenza è di lunga data. A questo punto ci chiediamo: è possibile adottare un bambino senza aspettare il trascorrere di altri tre anni di matrimonio?
La nuova legge in materia di adozione nazionale e internazionale ha previsto di permettere l?accesso a tale istituto (oltreché alle coppie sposate da almeno tre anni) anche a quelle coppie che hanno avuto una convivenza che sia durata almeno tre anni e che abbiano accettato di convolare a nozze prima di sottoporre la domanda di idoneità al Tribunale per i minorenni.
Si tratta di una posizione mediata e che è sorta dopo lunghe ed accese discussioni tra chi auspicava un riconoscimento delle coppie di fatto (ancorché solo eterosessuali) e delle loro esigenze e chi, invece, sosteneva e sostiene che l?adozione sia un istituto da riservarsi esclusivamente alle coppie sposate.
Il requisito temporale richiesto (che, cioè, siano passati almeno tre anni dall?inizio dell?unione e che non vi siano mai state divisioni, neppure di fatto) serve esclusivamente a verificare che la coppia sia sufficientemente rodata e affiatata per permette di considerare il loro rapporto abbastanza consolidato e stabile per un?adozione.
L?articolo della legge che prevede il requisito della convivenza triennale precedente al matrimonio non è molto chiaro: mentre appare semplice verificare che nel triennio precedente la coppia sia stata sposata e che la loro unione sia stata continuativa e mai interrotta, non è altrettanto semplice verificare la convivenza, la quale è un elemento spesso solo fattuale, legato inoltre ad una scelta non sempre comunicata e non necessariamente quindi dotata di certificati o documenti inoppugnabili. Spesso accade persino che la coppia (per motivi anche solo fiscali) non abbia modificato la precedente residenza e si trovi nella difficoltà di documentare tale accadimento.
Ad oggi non ci sono precedenti nella giurisprudenza, e i giudici minorili, spesso assai più pratici di quello che la legge permetterebbe, hanno sovente stabilito che a comprovare l?avvenuta convivenza era sufficiente l?autocertificazione, ovvero una dichiarazione contenuta nella istruttoria predisposta dai servizi degli enti locali (che teoricamente potrebbero anche chiedere ai vigili urbani di informarsi sulla veridicità della dichiarazione fatta loro dalla coppia). Il tutto, ovviamente, quando non si è in presenza di documentazione che acclarasse l?impossibilità della convivenza (è il caso, per esempio, di una coppia di conviventi che tale era solo teoricamente giacché il partner maschio negli ultimi due anni era vissuto quasi sempre all?estero per un progetto di cooperazione internazionale documentato nella dichiarazione dei redditi e nell?iscrizione all?Aire – l?anagrafe degli italiani residenti all?estero).
Non ce ne sarebbe bisogno, ma è bene ricordare che una dichiarazione falsa fatta davanti a un pubblico ufficiale che induce quest?ultimo a certificare cose non avvenute, oltre a costituire reato punibile penalmente, non sarebbe considerata in maniera sportiva dal giudice del Tribunale per i minorenni che dovrà decidere la vostra idoneità.
Il punto
Anche una convivenza di almeno tre anni prima del matrimonio risponde alle esigenze di stabilità della coppia.
Il problema è dimostrare l?esistenza di un legame che di per sé non è certificato. A oggi non ci sono precedenti nella giurisprudenza. È però accettata l?autocertificazione.
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