Welfare

La condizione femminile. Un dualismo e le nuove frontiere

È un tema investito con frequenza dall’attenzione della politica e dei media. Tuttavia è rara una considerazione complessiva e organica. Più spesso l’attenzione si focalizza di volta in volta su uno o sull’altro aspetto

di Vincenzo Mannino

La condizione femminile è investita con frequenza dall’attenzione della politica e dei media. Tuttavia è rara una considerazione complessiva e organica. Più spesso l’attenzione si focalizza di volta in volta su uno o sull’altro aspetto. È impossibile ordinare questi temi secondo un ordine di importanza. Ci sono, per così dire, temi caldi e temi freddi. Alcuni temi che riguardano centinaia di donne mobilitano il dibattito, anche con grande intensità emotiva. Altri temi, che interessano milioni di donne, sembrano per lo più riservati alla discussione degli addetti ai lavori. Il femminicidio, la violenza sessuale, gli incidenti mortali sul lavoro, le difficoltà frapposte alla maternità, la mancanza di servizi per le madri, la disoccupazione femminile, questioni particolari controverse (ad esempio la maternità surrogata), la discriminazione salariale, lo stalking, il revenge porn, il soffitto di cristallo: ecco un elenco non esaustivo e alla rinfusa, ma indicativo della varietà di aspetti affrontati di volta in volta.

Tuttavia se vi è stato un tempo nel quale la condizione femminile, anche nei suoi aspetti critici, poteva essere rappresentata come un continuum, ora invece si è instaurato un dualismo. In questi casi diventa più difficile far sì che la parte più avanzata traini la parte meno avanzata, come quando in un convoglio alcune vetture si sganciano dalle altre.

Certo, anche le donne che compongono la parte più avanzata non si considerano “arrivate”. Il soffitto di cristallo, sebbene qua e là già attraversato e in gran parte destinato a crollare completamente per il semplice urto del tempo, continua a condizionare e a deludere aspettative. Resta significativo che non abbiamo ancora avuto un presidente della repubblica e un presidente del Consiglio donna e neppure i Ministri di alcuni Ministeri. Ai vertici di enti e grandi imprese le donne sono ancora una eccezione. Qualcosa si è mosso nell’associazionismo di rappresentanza. Sulle donne nella economia lavora anche il G20 Empowerment, che si riunirà in parallelo al G20 presieduto dall’Italia, per promuovere la leadership femminile.

Questo riguarda le posizioni di vertice. Ma è importante sottolineare che oggi in maggioranza assoluta i magistrati sono donne. Anche tra i medici (under 65) sono in maggioranza assoluta le donne. Sono donne la maggioranza delle persone nella carriera prefettizia e la maggioranza dei dirigenti scolastici (per gli insegnanti la prevalenza femminile appartiene a un tempo precedente). Nell’avvocatura la maggioranza femminile risulta tra gli under 50. Il completamento di questi processi, affidato al tempo, è inesorabile.

È già noto infatti che le ragazze si laureano in maggior numero rispetto ai ragazzi e si laureano in meno tempo e con voti migliori (ancora poche però nelle discipline STEM). È probabile perciò che nei prossimi anni prosegua l’afflusso femminile in professioni che un tempo corrispondevano a un’immagine maschile. Con il passare del tempo si femminilizzeranno di più anche gli uffici direttivi della magistratura, i dirigenti generali della Pubblica Amministrazione…
Queste sono le donne che in molti casi (troppi) non hanno superato il soffitto di cristallo, ma salgono di buon passo le scale per arrivarci.

Molte sono le donne che invece non arrivano neanche al primo scalino di quelle scale. “Il tasso di partecipazione delle donne che partecipano al lavoro è solo il 53,89%, molto al di sotto del 67,8% della media europea” (sottolinea il presidente Draghi nella Premessa al PNRR). Femminile è anche la maggioranza dei Neet tra i 15 e i 29 proprio per la difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro, un’eccezione rispetto alla maggiore fragilità maschile che emerge da tanti altri indicatori. Forse questa situazione concorre a spiegare la bassa natalità meglio di altre argomentazioni più sofisticate.

Non è possibile in questa società che la natalità si risollevi senza un rilevante incremento di occupazione femminile, stabile, non discriminata e decentemente, correttamente, retribuita. Azioni positive per equilibrare la presenza delle donne in ambienti, in professioni, in posizioni, dove l’equilibrio di genere tarda a maturare, sono doverose, anche quando si ricorre a meccanismi imperfetti come le quote. Condotte elusive come a volte si constatano nella formazione di liste elettorali, vanno sanzionate, innanzitutto con una dura sanzione sociale. È lo scopo che non va eluso. L’imperfezione di mezzi legittimi non giustifica la rinuncia ai fini. Anche la clausola contenuta nel PNRR per “condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di giovani e donne”, clausola largamente condivisa, corrisponde a questo compito della politica.

Infatti l’aumento dell’occupazione femminile è oggi una delle sfide più decisive e più urgenti in Italia, e questo per il lavoro e per le molte altre dimensioni connesse. Chi deve prenderla a cuore? Vedo qui la necessità di una responsabilità convergente degli uomini e delle donne, non degli uni o delle altre (o di nessuno). Ci sono compiti che in una certa epoca vanno guardati come compiti di una intera società. Dunque vanno assunti ed esercitati nei modi della sussidiarietà.

Poiché le possibilità di assunzioni nelle Pubbliche amministrazioni o nel settore privato e nello stesso terzo settore non sono sufficienti a colmare il gap della occupazione femminile, occorre adottare come una strada maestra la promozione di imprenditorialità femminile, e – forse ben al di là dei 400 mln del PNRR – non basta continuare con i prestiti a tassi zero e senza garanzie. Cosi nascono imprese superindebitate. L’incentivo tradizionale punta a rendere conveniente il fare qualcosa. Che questo qualcosa sia poi fatto bene, con successo e sia durevole, richiede supporti diversi. Capitalizzazione e formazione imprenditoriale sono leve da organizzare su larga scala.

Nella formazione imprenditoriale vanno compresi i profili normativi, ma anche le competenze digitali indispensabili a cominciare, i rudimenti della educazione finanziaria, l’esercizio a ragionare realisticamente sul mercato di inserimento, l’attitudine alla prospettiva green.

Un vecchio adagio diceva che i soldi si trovano sempre. Non è sempre vero, ma certamente in questo caso la formazione delle aspiranti imprenditrici e alcune modalità di accompagnamento devono divenire la priorità. Dunque capitalizzazione e formazione imprenditoriale, la seconda più della prima perché le competenze aiutano a trovare i capitali, i capitali non bastano senza le competenze.

Ora noi possiamo attendere che provveda lo Stato a una offerta generalizzata di formazione imprenditoriale (e ad accompagnare l’elaborazione di un Business Plan). Oppure, poiché quello che serve già da molto viene sperimentato, possiamo mettere in rete e a mano a mano portare a sistema le esperienze che ci sono.

Può farlo Anpal? Invitalia? Uno o più soggetti privati? Il mondo cooperativo per esempio avrebbe talenti e competenze per cimentarsi. E’ vero però che qui si tratta spesso di imprese individuali, imprese domestiche, srl semplificate, cioè le taglie minime dell’impresa. Ma queste microimprese avranno bisogno di comporsi in reti sostenibili per darsi strumenti e accedere a opportunità, che non sarebbero alla portata delle singole iniziative.

Una cosa ho imparato nella mia esperienza (piccolissima quella diretta). Quando si accompagna un’aspirante imprenditrice (lo stesso per l’aspirante imprenditore) nella elaborazione del suo Business Plan, si costruisce un progetto di impresa, ma più ancora si costruisce il progetto di imprenditrice. Ecco il punto decisivo.

Oltre alle risorse e alle competenze del PNRR, bisogna metterci l’anima nello sviluppo dell’Italia.


Foto di Daniel Xavier da Pexels

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