Famiglia
La condanna a morte dei nidi convenzionati da parte del Comune di Milano
Palazzo Marino comunica alle 108 strutture cittadine che i posti in convenzione non verranno retribuiti sul mese di marzo e pagati meno del 50% nei mesi successivi, ma solo a fronte di prestazioni didattiche online. Il che sancirebbe la cessazione del diritto di cassa integrazione per i dipendenti. E intanto i nidi rischiano di fallire
«Gli uffici, insieme alla Segreteria Generale e alla Direzione Generale del Comune, hanno studiato i contratti in essere e purtroppo non hanno trovato spazio per il riconoscimento di risorse in quest’ambito, regolato dal nesso di reciprocità, ovvero a obbligazioni corrispettive. Stiamo ora verificando la possibilità di riconoscimento delle quote di contributo che offriamo alle scuole paritarie, in derrate alimentari e non solo, e su questo contiamo avere presto risposte». Parole e musica di Laura Galimberti, assessore Educazione, Istruzione e Politiche giovanili del Comune di Milano.
Ma di cosa sta parlando l'assessore?«Questo è solo uno stralcio di una missiva, una mail certificata, che definirei inaccettabile, pervenuta dal Comune relativa alla retribuzione dei posti convenzionati nelle 108 strutture private del territorio comunale», spiega Cinzia D'Alessandro, presidente del Comitato nazionale EduChiAmo, che riassume 7141 realtà, e titolare del nido milanese la Locomotiva di Momo.
Il Comune abbandona i nidi convezionati
Facciamo un passo indietro. «A febbraio, all'indomani del lockdown le strutture hanno in primo luogo attivato la cassa integrazione per i dipendenti, poi sospeso le rette dei privati e infine chiesto al Comune come si sarebbe organizzata la retribuzione dei posti convenzionati», spiega D'Alessandro. La risposta del Comune, arrivata solo dopo settimane di attesa, è stata sconcertante. «Quello che ci è stato comunicato è che il comune non ci deve nulla per il mese di marzo e che avrebbe potuto sottrarsi rispetto al pagamento anche nei mesi successivi addebitandoci il mancato rispetto del contratto per non aver erogato il servizio. Di fatto considerano volontaria la chiusura che invece, com'è noto, ci è stata imposta dal Governo», spiega la presidente.
Una interpretazione, quella dell'assessore Galimberti, che non trova spiegazioni se si esamina la convenzione triennale che il Comune stipula con i nidi privati in cui si legge solo che «il corrispettivo sarà ridotto al 50% se la bambina o il bambino, pur specificamente iscritto per il mese di luglio, non abbia frequentato neanche un giorno. Nulla sarà invece riconosciuto per coloro che, pur iscritti nel mese di giugno e, eventualmente, anche per il successivo mese di settembre, non risultino invece iscritti in modo specifico per il mese di luglio».
La co-progettazione
Il Comune però ha rilanciato con una proposta di co-progettazione. Quindi a fronte del non pagamento di quanto stanziato e pattuito ha proposto ai nidi di elaborare delle “attività didattiche a distanza” a fronte delle quali «autorizzerà il pagamento, riconoscendo il corrispettivo, calcolato sul numero di bambini che risultano iscritti al mese di febbraio 2020 da graduatoria comunale, al netto delle minori entrate (rette delle famiglie)».
«Significa in soldoni», chiarisce D'Alessandro «che ci pagheranno meno della metà di quanto stabilito. Per altro lo faranno in due tranche, la prima del 55%, previa rendicontazione e il restante solo con un secondo pagamento».
Cosa significa dal punto di vista economico? Prendiamo un caso di specie tra i tanti. L'asilo nido Chez Aua di via Melchiorre Gioia. «Nel mese di marzo come convenzione avremmo dovuto percepire dal Comune 600 euro per 15 bambini. Quindi un totale di 9mila euro. Stando alla proposta del Comune invece ci verrebbero conferiti solo 4.316 euro. Pagati per altro in due tranche previa rendicontazione dell'attività svolta», spiega la titolare Federica Agosto. «Per capire il problema basta pensare che il costo del personale per il mese di marzo è stato di 10.829 euro».
Il Decreto Cura Italia
In molti si staranno chiedendo come sia nata l'idea della co-progettazione del Comune di Milano. La spiegazione sta nel Decreto Legge “Cura Italia” che, all'art. 48 dedicato alle “Prestazioni individuali domiciliari” stabilisce che “Durante la sospensione dei servizi educativi e scolastici… …le pubbliche amministrazioni forniscono, avvalendosi del personale disponibile, già impiegato in tali servizi, dipendente da soggetti privati che operano in convenzione, concessione o appalto, prestazioni in forme individuali domiciliari o a distanza… Tali servizi si possono svolgere secondo priorità individuate dall'amministrazione competente, tramite coprogettazioni con gli enti gestori, impiegando i medesimi operatori ed i fondi ordinari destinati a tale finalità, alle stesse condizioni assicurative sinora previsti, anche in deroga…”
Lo stesso articolo però chiarisce anche che “i pagamenti (da parte delle pubbliche amministrazioni ndr) comportano la cessazione dei trattamenti del fondo di integrazione salariale e di cassa integrazione in deroga laddove riconosciuti per la sospensione dei servizi educativi per l'infanzia”.
«Di fatto oggi il bivio per le nostre strutture è semplice», chiarisce D'Alessandro, «scegliere tra cassa integrazione e compenso. Nel caso di un asilo da 10 posti convenzionati su 50 dovrebbe rinunciare a 20mila euro di cassa integrazione a fronte di 1500 euro di pagamento del Comune per servizi di didattica online. Andrebbeper altro chiarito che stando all’art. 2 d.lgs. 65/17 questi servizi non possono assolutamente essere somministrati con le modalità previste dal Comune in quanto la natura pedagogica del nido d’infanzia si fonda sulla relazione diretta con i bambini, in un’esperienza di cura e contatto umano non sostituibile. Nessuna didattica a distanza potrebbe mai sostituire il principale nutrimento del nido d’infanzia che è la socialità diretta tra bambini. A questo va aggiunta la pericolosità derivante dall’esposizione costante ai device sulla formazione del cervello infantile, come i neuropsichiatri di tutto il mondo sottolinenano, ed il rifiuto da parte dei genitori stessi di simili modalità, ben distanti da un’idea di sviluppo finora condivisa, fondata sul senso di appartenenza ad un gruppo di crescita in un contesto ambientale complesso nella sua articolazione ed in presenza di personale specializzato».
Il fatto è che il Comune fa riferimento al famoso art. 48 del Cura Italia «che è un provvedimento pensato per le Pubbliche Amministrazioni. Allargarlo nell'interpretazione anche a noi come fa Palazzo Marino, stando a quanto ci dicono i nostri legali, non è corretto», continua D'Alessandro.
Il caso Pavia
L'assessore Galimberti nella famosa mail dice anche un'altra cosa però. Scrive che «non risulta alla scrivente che altri Comuni abbiano stanziato risorse per i nidi o scuole infanzia privati, convenzionati o non convenzionati» e che «sosteniamo insieme a voi la possibilità di attivare forme di sostegno prioritariamente da parte delle Regioni, in particolare tramite riprogettazione delle risorse FSE, o dello Stato. Sappiamo che in tal modo si sono già mosse la Regione Piemonte e la Regione Lazio».
E qui il mistero si fa fitto. Perché invece a noi risulta che il Comune di Pavia abbia deliberato degli aiuti diretti ai nidi convenzionati, cioè proprio quello che la dott.ssa Galimberti ritiene “non risulti”.
I fondi 0-6 de La Buona Scuola
E come ha fatto il Comune di Pavia? Poggiandosi sulla comunicazione del 10 aprile 2020 della Regione Lombardia inviata “ai Comuni lombardi beneficiari dei fondi statali per il Sistema integrato dei servizi di educazione e istruzione dalla nascita fino a sei anni” e dal titolo “Emergenza epidemiologica da COVID-19. Indicazioni per l’utilizzo e il riorientamento delle risorse del Sistema integrato dei servizi di educazione e istruzione dalla nascita sino a sei anni, annualità 2019 (D.G.R. n. 2108/2019)”.
In quella comunicazione la Regione chiarisce che per quello che riguarda i fondi statali del Sistema zero-sei anni (quindi quelli che fanno riferimento alla legge 107/2015, meglio conosciuta come “Buona scuola”) che ammontano a 41.730.117,48 euro stanziati nel 2019 possono essere usati «nel pieno rispetto dell’autonomia di ciascun Comune» per:
- abbattimento e/o riduzione delle rette e sviluppo dei servizi per la prima infanzia per i nuclei familiari con ISEE< a 20.000,00 euro, quale intervento complementare alla Misura “Nidi Gratis”;
- stabilizzazione graduale delle Sezioni Primavera;
- finanziamento delle scuole dell’infanzia paritarie a parziale copertura dei costi di gestione aggiuntive a quelle già normalmente stanziate dai Comuni.
«Queste priorità», chiarisce la Regione, «condivise anche nel Tavolo di consultazione appositamente istituito, sono un quadro di riferimento che può essere ritenuto coerente con interventi di riduzione/rimborso delle rette a carico delle famiglie, riferite al periodo di mancato utilizzo dei servizi nelle istituzioni educative pubbliche e private per la prima infanzia».
È di oggi una comunicazione di Assonidi all'assessore Galimberti che, rispetto a questi fondi, scrive: «considerato che il riparto destinato al Comune di Milano ammonta ad oltre 7,6 milioni di euro, confidiamo che tali risorse vengano destinate anche al sostegno del comparto privato che, ricordiamo, sta attraversando un momento di gravissima crisi da cui potrebbe non riprendersi mai».
Insomma i soldi ci sono, sono disponibili e basterebbe solo spenderli.
I rischi
L'orizzonte per queste strutture, se le cose non dovessero cambiare, è la chiusura. «Con la cassa integrazione ma senza aiuti non potremo sostenere i costi. Abbiamo affitti, consulenti del lavoro da pagare, utenze, tasse e assicurazioni. A settembre moltissimi di noi non ci saranno più», conclude D'Alessandro, «e il Comune non sarà in grado di sopperire ai posti che verranno a mancare. Ricordo che un posto convenzionato al pubblico costa 600 contro i 1300 di un posto comunale».
Come si legge, sempre nel contratto di convenzione che il Comune stipula con queste realtà si legge che la finalità è “aumentare l’offerta pubblica di servizi per la prima infanzia a disposizione delle famiglie con figli tra i 3 e 36 mesi residenti nel Comune di Milano”.
Si tratta di un servizio pubblico essenziale. Sarebbe il caso che il sindaco di Milano Beppe Sala, tra un video sull'igienizzante prodotto dal Politecnico e uno in cui sogna una città fatta di piste ciclabili, trovasse il tempo per intervenire e trovare una soluzione.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.