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La concertazione è finita

Trattativa chiusa sull'articolo 18, il Governo Monti tira dritto

di Franco Bomprezzi

Braccio di ferro sulla riforma del lavoro, Monti va avanti anche senza l’accordo con la Cgil, che annuncia mobilitazione. La situazione è complessa, e i giornali registrano un’altra giornata di trattative e di annunci.

«Il nuovo articolo 18 varrà per tutti», apre così il CORRIERE DELLA SERA, con servizi fino a pagina 9. L’editoriale di Dario Di Vico: “I veti fuori dal tempo” fa il punto della situazione: “Verbalizzare al posto di concertare. Con la richiesta del premier Mario Monti di mettere fine alle lungaggini del confronto con le parti sociali e di scrivere nero su bianco le obiezioni avanzate al testo governativo è finito un lungo ciclo della storia socio-politica dell’Italia. La concertazione, che pure non dimentichiamo era stata definita come «la nostra Costituzione materiale», ieri è andata in pensione. Davanti all’incapacità del sindacato di presentarsi a Palazzo Chigi con una proposta credibile, una piattaforma capace di delineare un nuovo tipo di scambio all’altezza delle sfide che si devono affrontare in un’economia integrata, il governo Monti alla fine ha tirato dritto. Si è richiamato in un crescendo prima alle ragioni dei non garantiti, poi ha messo in guardia da ulteriori esercizi del potere di veto, infine ha riaffermato il potere del Parlamento. Toccherà ai politologi spiegare il paradosso di un governo tecnico che, accusato di aver confiscato le prerogative della politica, le riconsegna invece lo scettro nell’ora delle decisioni difficili”. E così conclude: “Di fronte alla gravità della recessione un governo «normale» avrebbe aspettato tempi migliori, ma l’Italia dell’incubo-spread non può permetterselo. E di conseguenza ha iniziato ad affrontare alcune delle contraddizioni più evidenti quali lo straripante numero dei precari, l’abnorme crescita del numero delle partite Iva, l’assenza di un moderno sistema di ammortizzatori sociali e la presenza, invece, di una normativa ipergarantista sulla flessibilità in uscita. Lo scambio vincente in assoluto sarebbe stato «più lavoro per nuove regole», ma come è purtroppo ormai assodato la crescita non si fa per decreto e quindi, volenti o nolenti, siamo costretti a lavorare oggi per crearne le condizioni domani. Il governo, però, giunto a questo punto ha un obbligo quasi morale: la stessa determinazione che ha messo in campo nella fase uno deve replicarla nell’auspicata fase due”. La cronaca politica di Roberto Bagnoli apre pagina 2: “Monti, accanto al ministro del Lavoro Elsa Fornero, nella conferenza stampa finale, è stato chiarissimo. «Non ci sarà accordo con le parti sociali, con loro c’è stato un importante dialogo ma non vogliamo ripetere una concezione consociativa». «Il mancato consenso della Cgil — ha spiegato ancora il presidente del Consiglio — mi dispiace e preoccupa, ma a un certo punto ci siamo trovati nella situazione che se avessimo avuto il suo benestare avremmo perso quello degli altri. Tutti noi, Cgil compresa, ci siamo mossi nella convinzione di servire i lavoratori del Paese». La reazione del maggiore sindacato del Paese, che ha ingoiato tre mesi fa la riforma delle pensioni con appena tre ore di sciopero, non si è fatta attendere molto. «La Cgil farà tutto ciò che serve per contrastare questa riforma — ha dichiarato il segretario Susanna Camusso — farà le mobilitazioni necessarie, non sarà una cosa di breve periodo»”. Enrico Marro a pagina 3 racconta lo scontro Camusso-Monti: “Monti tenta l’ultima carta per evitare la rottura plateale chiedendo a Camusso se nel verbale si può scrivere un giudizio articolato della Cgil, distinguendo una posizione più favorevole sulla prima parte (contratti e ammortizzatori) da una più critica sull’articolo 18. Camusso chiude la partita sibilando poche parole: «No, il giudizio complessivo della Cgil è unico ed è critico». Monti ne prende atto, ma assume quell’aria contrariata che poi tutti hanno potuto vedere quando il premier è entrato in sala stampa. Forse non si aspettava la durezza della Cgil, soprattutto dopo l’appello dell’altro ieri del presidente Napolitano al senso di responsabilità delle parti sociali. Forse sperava, appunto, in un giudizio articolato”. A pagina 6 il momento difficile per il Pd: “Gelo di Bersani sull’esecutivo «I patti non erano questi»”. Antonella Baccaro a pagina 18 tratteggia i nuovi scenari della riforma dell’articolo 18: “Indennità dai 15 ai 27 mesi sui licenziamenti disciplinari. Reintegro possibile per i casi ritenuti discriminatori”, e Raffaella Polato a pagina 9 le novità più in generale: “Oltre i 36 mesi lavoro a tempo indeterminato. Dopo l’università niente stage, solo l’apprendistato”.

LA REPUBBLICA apre con un “Cambia l’articolo 18, la Cgil non ci sta” e nel sommario precisa: “Monti: spiace, ma nessuno ha più diritto di veto. Camusso: vogliono solo licenziare, lotteremo”. I servizi all’interno. Con Francesco Bei e Roberto Mania le tappe della giornata di ieri. Poi la sintesi della riforma: l’articolo 18 rimane solo per proteggere i licenziamenti discriminatori, una stretta sui contratti precari, l’assicurazione per l’impiego e i contributi più alti a carico dei contratti a tempo determinato. Dopo tre anni di contratto a tempo determinato il rapporto diventa automaticamente stabile. Per le false partite Iva, in caso di monocommittenza dopo sei mesi il rapporto diventa subordinato. La riforma reintroduce anche il divieto di dimissioni in bianco e prevede una sperimentazione dei congedi di paternità obbligatori. Diviso il Pd con Bersani che avverte : «Monti ha rotto il tavolo, ora rischi per tutti». È vero però che in due interviste parallele, Fassina, responsabile del lavoro, ha toni molto critici (“L’articolo 18 è stato svuotato sembrava di sentire Sacconi”) mentre a fianco il responsabile del Welfare, Beppe Fioroni dice: “Questa è una riforma seria e noi dobbiamo appoggiarla”. Il commento è affidato a Massimo Giannini ed è intitolato “Il velo strappato”: «Se i “corpi intermedi” della società condividono le scelte, tanto meglio. In caso contrario, il governo va avanti comunque. Lo strappo si è dunque compiuto. Il presidente del Consiglio ha deciso di scrivere la sua riforma del mercato del lavoro sacrificando la Cgil. Un sacrificio pesante, e gravido di conseguenze. È ancora una volta l’articolo 18 a segnare un decisivo cambio di fase, che modifica strutturalmente non solo le relazioni industriali, ma anche le consuetudini politiche del Paese. Dietro alla rottura tra Monti e Camusso c’è… la fine della concertazione, che ha scandito i rapporti tra politica ed economia nella Seconda Repubblica». «Nel passo compiuto dal governo c’è una svolta di merito… cade l’ultimo tabù. L’articolo 18, cioè l’obbligo di reintegrare il lavoratore, resterà solo nei licenziamenti per motivi discriminatori, e varrà per tutte le aziende, comprese quelle con meno di 15 dipendenti». «Sarebbe ingeneroso liquidare questo no come il solito riflesso pavloviano di una deriva sindacale massimalista e conservatrice. La preoccupazione della Camusso, ancorché non del tutto condivisa da Bonanni e Angeletti, è tutt’altro che infondata. In questo nuovo schema l’articolo 18, di fatto, non viene “manutenuto”, ma manomesso. I diritti si trasformano in moneta».

Apertura in prima pagina de IL GIORNALE: “Abolito l’articolo 18, quasi”, corredata da un editoriale di Vittorio Feriti. «La materia è talmente scottante» scrive ironicamente Feltri «che minaccia di incenerire il governo. Il quale, pertanto, non sarà più di professori bensì di pompieri».A pag 2 “Monti corre con l’ok del Colle. Il Pd strilla ma è pronto al si” Francesco Cramer racconta i retroscena dell’incontro informale di ieri tra governo e parti sociali e prospetta che il testo finale andrà alle Camere senza firme delle parti sociali. A pag 3 un bel grafico sull’ultima bozza dell’articolo 18. La voce della Camuso a pag  4 nel pezzo “Il Giorno nero della Camuso: la Cgil resta sola contro tutti” dove minaccia la piazza.

“Parliamone” è questo il titolo di apertura de IL MANIFESTO che va a sfondare sulla fotografia della manifestazione di 10 anni fa al Circo Massimo in difesa dell’articolo 18. “Meno tutele e ammortizzatori sociali, aboliti concertazione e diritto al reintegro in caso di licenziamento. «Sull’articolo 18 non si tratta più», tutti d’accordo tranne la Cgil. Monti ora aspetta da Napolitano l’ok al decreto: «Ci confrontiamo solo in parlamento». Camusso: è il momento della mobilitazione”. Tre le pagine dedicate al tema, anche l’editoriale firmato da Loris Campetti “Chi si ricorda il Circo Massimo” fa un parallelo con quanto successo dieci anni fa: «Il governo dei professori non cerca il confronto con i sindacati, ne vuole lo scalpo da consegnare ai santuari della finanza. Monti vuole convincerli della sua fedeltà agli ordini di scuderia. Il crollo dello spread ha il suo prezzo e qualcuno deve pur pagarlo. Questa volta, guarda caso, tocca ai giovani, ai lavoratori dipendenti e ai pensionati (…) Se però le vittime sacrificali non fossero contente, pazienza; (…) Quella che si è svolta finora tra il governo e le parti sociali non è una trattativa, somiglia semmai all’accordo di Pomigliano imposto da Marchionne ai suoi lavoratori considerati sudditi (…)» e conclude «Oggi la Cgil terrà uno dei suoi più difficili direttivi nazionali. Probabilmente qualcuno ricorderà alla segreteria che dieci anni fa esatti, era il 23 marzo del 2002, in difesa dell’art. 18 scesero in piazza 3 milioni di persone (…)Non vogliamo credere che soltanto gli operai della Fiom siano rimasti legati ai valori che avevano riempito il Circo Massimo, e i cuori». Esplicita l’apertura di pagina 2 “L’articolo 18 non c’è più” e di taglio medio un grande box dedicato al Pd che “entra in zona turbolenza. Letta: il sì non è in discussione” mentre a pagina 3 l’apertura è sulla segretaria Cgil “Camusso furiosa: «Ora mobilitazione»”.

Il SOLE 24 ORE ha un titolo secco in apertura: “Articolo 18, addio per tutti. No Cgil”. Scrive il giornale di Confindustria: «La riforma del mercato del lavoro va avanti con il consenso di tutte le parti sociali tranne la Cgil, che conferma il suo dissenso dalla soluzione trovata per la riforma dell’articolo 18. «Per il Governo la questione è chiusa» ha scandito il presidente del Consiglio, Mario Monti, che ha poi annunciato per domani, alle 16, l’incontro finale con tutti i partecipanti al negoziato per la chiusura del testo.  «Né oggi né giovedì ci sarà un accordo firmato dal Governo con le parti sociali» ha aggiunto Monti, perché dopo una consultazione che ha dato contributi «nel merito» ora l’interlocutore diventa il Parlamento: «Il dialogo è importantissimo ma non riflettiamo una cultura consociativa di un passato lontano». L’editoriale è di Alberto Orioli: “Infranto il Grande Tabù”. Segue anche una nota politica di Stefano Folli che elogia la terza via imboccata da Monti. Né quella della rottura, né quella del cedimento. «Si tiene ferma la scadenza prevista .. e non si chiedono le firme ai sindacati e alle altre parti sociali in calce a ipotetici patti». In sostanza si verbalizzano i punti di accordo e quelli di disaccordo. Interessante e un po’ provocatorio un articolo a pagina 2, in cui Marzio Bertolini rievoca una trattativa del 1985 in cui la Cgil guidata da Lama aveva sposato il pragmatismo superando lo scontro di religione sulla scala mobile. Quel contesto viene rievocato in un dialogo con Pierre Carniti. Spazio ovviamente anche alle posizioni di Emma Marcegaglia: «Condividiamo l’impegno contro la flessibilità cattiva. Ma sulla flessibilità in entrata – come ha spiegato nella conferenza stampa a Palazzo Chigi – c’è un irrigidimento complessivo e un aumento dei costi a carico delle imprese». Comunque si tratta di «una riforma a 360 gradi, per la quale abbiamo accolto la richiesta fatta a tutti dal presidente della Repubblica». Sull’articolo 18, che è stato uno dei nodi principali della trattativa, Confindustria ha aderito alla mediazione del governo: «È una posizione meno avanzata di quanto avevamo chiesto, ma abbiamo aderito per senso di responsabilità».

“Non si tratta più”, titola AVVENIRE. Il governo va avanti nella riforma del mercato del lavoro e mette mano all’articolo 18, senza tempi supplementari per la trattativa e senza chiedere la firma delle parti sociali, passaggio che avrebbe sancito un accordo separato senza la Cgil. Il provvedimento, ha confermato ieri il presidente del Consiglio Mario Monti nel corso del vertice a Palazzo Chigi, sarà ultimato in settimana. Constatata l’impossibilità di raggiungere una piena intesa, il premier ha aggirato l’impasse annunciando che il provvedimento sarà comunque avviato in Parlamento, «interlocutore principale del governo»: da decidere se sarà una legge delega o un decreto (ipotesi su cui punta il ministro Fornero). Passa la riduzione delle tutele previste dall’articolo 18 e la nuova versione varrà non soltanto per i neo-assunti, ma per tutti i lavoratori. In sintesi il diritto al reintegro per il lavoratore ingiustamente licenziato varrà solo quando ci sono motivi discriminatori; nei casi di licenziamento disciplinare il giudice deciderà tra reintegro e indennizzo, mentre quando le motivazioni sono economiche ci sarà solo l’indennizzo. AVVENIRE dedica una pagina anche alla delusione dei giovani precari: «inascoltati, non tutelati, penalizzati, beffati». Dovevano essere al centro delle preoccupazioni, e invece… «beh, l’obiettivo non sembra raggiunto». Interlocutori di AVVENIRE un cartello di venti associazioni, riunite ai Giovani Democratici. 

“Articolo 18, questione chiusa”. Titola LA STAMPA in apertura. Le posizione: “La Cisl: ok le linee guida. La Uil: servono modifiche. Camusso: vogliono licenziamenti facili. Monti: riforma condivisa, no solo della Cgil. Nessuno avrà più potere di veto”. Il commento di analisi politica è affidato a Marcello Sorgi, titolo: “La sincerità dei partiti alla prova”. Scrive Sorgi: «Diciamo la verità, almeno il pietoso tentativo di mascherare il fallimento della trattativa sul mercato del lavoro, governo e parti sociali potevano risparmiarselo. Una rottura è una rottura, come un divorzio è un divorzio. (…) Alla fine l’accordo non c’è stato ed è molto difficile che possa essere trovato nelle prossime quarantotto ore. (…) L’Italia dei molti interessi, delle convenienze particolari, delle resistenze corporative, ha mostrato tutte le sue sfaccettature, le rughe profonde che le attraversano il volto, la stanchezza di muscoli anchilosati che non consentono più scatti in avanti. (…) Stavolta invece ha prevalso la freddezza, o se si vuole l’incomunicabilità: la battaglia vera ciascuno l’ha combattuta nel suo campo, due ore di sciopero della Fiom sono bastate a trainare tutta la Cgil verso l’indisponibilità e gli slogan propagandistici contro «il governo dei licenziamenti facili»; Cisl e Uil, in passato più autonome, in conclusione hanno indugiato. Anche sul fronte imprenditoriale è accaduto qualcosa di simile: Rete Imprese ha fatto quattro conti, alla maniera svelta dei «padroncini» che rappresenta, e ha innescato la marcia indietro. Ed Emma Marcegaglia, la presidente di Confindustria alla fine di un quadriennio non proprio brillante, non aspettava altro per tirarsi da parte. A Monti e Fornero, dopo un mese e mezzo di illusioni e di inutile trattativa con interlocutori distanti, non è rimasto che stilare il verbale delle divergenze e rassegnarsi all’estremo rinvio. (…) Se, come si sentiva dire ieri man mano che la speranza dell’accordo tramontava, la scelta sarà quella del disegno di legge o di una legge delega, cioè di un testo che impiegherà alcuni mesi prima di essere seriamente preso in considerazione dalle Camere, si dirà che abbiamo scherzato. E si vedrà, ciò che è più importante, se erano sinceri gli inviti ad andare avanti, rivolti a sorpresa, dopo frequenti esitazioni e frenate, dai partiti della maggioranza al governo; o se più semplicemente Alfano, Bersani e Casini, nel vertice di giovedì scorso, avevano mandato Monti a sbattere contro il muro della concertazione fallita, per poter riprendere senza intralci la campagna elettorale e fargli capire chi comanda ancora in Italia. A dispetto dell’Italia».

E inoltre sui giornali di oggi:
 
SIRIA
MANIFESTO – Richiamo in prima pagina per la Siria “Violati i diritti umani, Human Rights Watch accusa i rivoltosi” tema che apre pagina 8 con il titolo “Se i buoni violano i diritti umani”. «iIl detto popolare che anche il più pulito ha la rogna è greve ma rende l’idea. «Elementi armati dell’opposizione» siriana hanno compiuto violazioni dei diritti umani – rapimenti, arresti, torture a morte, esecuzioni sommarie – contro membri de i servizi dell’esercito e della sicurezza, delle milizie Shabiha filo – Assad (…) È quanto scriveva ieri , Human Rights Watch in una lettera aperta inviata oggi al Consiglio nazionale siriano, la principale piattaforma  dell’opposizione, quella basata all’estero (in Turchia) ma quella privilegiata dalla “comunità internazionale” (…)» Passando poi ad esaminare la situazione conclude «(…) Nessuno è così pirla da pensare che la posizione della Russia, scottata dai “trucchi” di Occidente, Onu e Nato al tempo della vicenda libica (…) sia dettata da posizioni umanitarie o da amore per la democrazia. Ma in questa fase appare la più seria e la più ferma (…)»

AZZARDO
AVVENIRE – Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ieri ha assicurato che il gioco patologico «sarà inserito nell’aggiornamento dei Lea, in modo da garantire il giusto percorso di prevenzione, cura e riabilitazione» e che «il ministero dell’Economia sta lavorando per limitare gli spot». Intanto il Comune di Udine ha sospeso per un anno le autorizzazioni all’apertura di nuove sale gioco. Ne esistono già 36 in città, di cui 11 aperte negli ultimi mesi.

CRISI
ITALIA OGGI ­ – Simonetta Scarane firma “La green economy per ripartire”. «Secondo i sindacati la green economy è l’unica via possibile per rimettere in moto il motore dell’industria delle costruzioni dopo che ha registrato il calo del 7;8% della produzione». 


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