Non sono Emergenza
La comunità educante può fare notizia?
Si è tenuto a Cagliari il secondo evento territoriale promosso dall’impresa sociale Con i Bambini in collaborazione con Acri, Fondazioni e Ordine dei giornalisti, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. I dati dell'Osservatorio sui minori e le proposte sulle risposte da dare
Il profondo disagio degli adolescenti e il ruolo delle comunità educanti e del mondo dell’informazione sono stati al centro, questa mattina, del secondo evento territoriale promosso nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile dall’impresa sociale Con i Bambini in collaborazione con Acri, Fondazioni e Ordine dei giornalisti, che si è tenuto all’Exmè di Cagliari. Un luogo altamente simbolico, per il capoluogo isolano, in quanto è stato un mercato rionale, poi un luogo di degrado e abbandono che ha ospitato per diverso tempo spacciatori e tossicodipendenti, quindi un punto di riferimento per tutto il quartiere di Santa Teresa. Un luogo di riscatto sociale, in definitiva, ma anche il punto di distribuzione di generi alimentari, indumenti, giocattoli, beni di prima necessità. E di ascolto delle povertà, a 360 gradi. Come ha sottolineato, in apertura dei lavori, il presidente di “Con i Bambini”, Marco Rossi Doria: «Abbiamo promosso la campagna mediatica “Non sono emergenza” per dire a tutti che non dobbiamo trattare male i bambini e i ragazzi», ha sottolineato. «I giornalisti sono chiamati a capire le complessità del nostro mondo, della nostra società, che sono mutati dopo la pandemia. Ringrazio le fondazioni di origine bancaria che, dal 2016, alimentano il Fondo nazionale che sostiene i progetti del Terzo settore. La pandemia ha sconvolto le abitudini di tutti ma è stata devastante soprattutto per i minori, che infatti mostrano gravi disagi. Stiamo sperimentando le vie d’uscita, per riparare e non protestare. Ci assumiamo le nostre responsabilità e facciamo proposte concrete».
Parlare soltanto di povertà educativa può essere fuorviante. «Nella nostra regione abbiamo una serie di disgrazie che derivano dalla povertà in senso generale, che sono collegate tra di loro e rendono più difficili le condizioni di vita», ha fatto notare Giacomo Spissu, presidente della Fondazione di Sardegna e vicepresidente di Acri, l’associazione di fondazioni e Casse di risparmio. «La pandemia ha prodotto una generazione ansiosa, fatta di ragazzi che hanno difficoltà a socializzare con i coetanei e a rapportarsi in famiglia. E spesso i genitori sono più ansiosi di loro. La scuola e l’educazione sono i pilastri da cui ripartire. Non a caso, la Fondazione di Sardegna quest’anno investirà cinque milioni di euro nel bando “Scuola bene comune”, con bandi e interventi di vario genere a favore delle scuole e di tutte le comunità educanti. Nell’arco di tre anni capiremo se questo progetto avrà sortito effetti positivi».
I lavori sono stati coordinati da Fabrizio Minnella, responsabile comunicazione e relazioni esterne dell’impresa sociale “Con i Bambini”, il quale ha stimolato il dibattito attraverso una serie di dati molto interessanti. «Il 54% dei ragazzi si dice non capito dagli adulti: emerge da un’indagine promossa da “Con i Bambini”», ha detto. Il dramma è che «il 45% degli adulti ammette di non comprendere i ragazzi. Il tasso di abbandono scolastico è del 13,1%. Ma alla nostra campagna di comunicazione hanno aderito sinora 370 tra enti, Comuni, organizzazioni del terzo settore e organi di informazione: qualcosa si muove, insomma. Abbiamo pensato a una serie di iniziative: una cartolina virtuale che i ragazzi possono inviare a se stessi, adulti del domani; una panchina verde per ascoltare le istanze dei ragazzi, simbolo di una comunità che presta loro una reale attenzione; due canali Tik Tok e Instagram che hanno dato risultati immediati e per certi versi sorprendenti, in quanto dai messaggi degli adolescenti si capisce quanto sia grande la distanza intergenerazionale. Tutta la comunità educante è chiamata a studiare i dati, mettersi in ascolto e cambiare la percezione del fenomeno».
Laura Galesi, dell’ufficio stampa di “Con i Bambini”, ha parlato delle varie forme del disagio e illustrato una serie di dati dell’Osservatorio #conibambini”, che promuove il dibattito sulla condizione dei minori in Italia, a partire dalle opportunità educative, culturali e sociali. «Sono 500mila i minori italiani affetti da disturbi legati ai videogame. E oltre 370mila bambini e ragazzi tra gli 11 e i 17 anni possono mostrare dipendenza dal cibo», ha spiegato. «Durante il periodo più critico della pandemia, uno studente su dieci delle scuole secondarie ha dichiarato di aver subìto episodi di bullismo o cyberbullismo. Non va tutto male, però: i ragazzi dimostrano di interessarsi molto alle tematiche ambientali». Significa, dunque, che possono appassionarsi alla cittadinanza attiva se opportunamente stimolati.
Mettersi in ascolto, ma anche in discussione. Lo fa la Fondazione Domus de Luna di Cagliari, per esempio. «Nell’ultimo periodo, abbiamo analizzato le nostre attività, ciò che ha funzionato e cosa no», ha spiegato il fondatore Ugo Bressanello. «Abbiamo coinvolto anche le famiglie che non sono più seguite da noi da almeno tre anni, per capire che cosa è rimasto dopo il percorso di supporto. Siamo consapevoli che, dopo 20 anni di lavoro, c’è la necessità di rivedere certi approcci pedagogici e alcuni interventi, adeguandoci ai tempi. Accanto all’accoglienza e alla cura, abbiamo messo in piedi una serie di servizi, per esempio sul fronte della prevenzione. Da subito abbiamo capito che era più facile occuparsi dei bambini se prima ci occupavamo delle mamme e delle famiglie. Il nome della nostra cooperativa sociale “Buoni e Cattivi” riassume il senso di inclusione che ci anima da sempre. E questa filosofia ci ha portati ad avere, ad oggi, 70 dipendenti, tre ristoranti e circa due milioni di euro di fatturato. Ma ancora più importante è che le persone che fanno parte del mondo di Domus de Luna mostrano indici di benessere e di salute più elevati rispetto a buona parte della popolazione media, nonostante i gravi problemi che hanno attraversato o che attraversano ancora».
Luca Marciani, direttore generale della Fondazione Grimaldi, ha portato l’esperienza di Napoli. «Siamo stati la prima Fondazione privata del Sud Italia», ha detto con una punta di legittimo orgoglio. «Siamo una fondazione di erogazione, dal 2007 a oggi abbiamo sostenuto 236 progetti di terzi. Napoli assomma i problemi dei ragazzi di tutto il Paese: violenza strisciante, rabbia, abbandono scolastico, dipendenze da game e smartphone, disturbi alimentari. E subiscono una certa fascinazione da parte delle organizzazioni criminali. Non è un raffreddore, è una polmonite, e un’aspirina non basta. Abbiamo fatto un monitoraggio su 180 ragazzi da noi seguiti: è emerso che l’abbandono scolastico è inesistente o molto più basso della media, la maggior parte di loro è stata promossa a scuola, un po’ tutti mostrano un miglioramento del rendimento scolastico. Questi dati ci incoraggiano a proseguire. I ragazzi imparano soltanto con l’esperienza, biologicamente funziona così, perciò devono poter fare esperienza del loro valore attraverso persone che tengono a loro. Una curiosità: stiamo ottenendo risultati interessanti dal lavoro con i gruppi di maschi e femmine tenuti separati in alcuni momenti della giornata: sembra anacronistico, eppure li aiuta a non sentirsi costantemente sotto esame».
“Le comunità di pratiche: mettere in rete le buone pratiche per contrastare la povertà educativa minorile” era il tema dell’intervento di Stefano Arduini, direttore di VITA. «Da tempo le testate giornalistiche mostrano un dato abbastanza costante, cioè un calo progressivo del 10% dei loro lettori. I quali abbandonano perché hanno perso interesse in quei contenuti», ha spiegato. «A volte sottovalutiamo il tipo di informazione che diamo. VITA cerca di prestare un’attenzione costante non solo ai contenuti ma anche ai titoli, perché questi devono incoraggiare a leggere un servizio giornalistico. Vogliamo stare dentro la complessità e raccontare che cosa c’è dietro un dato o una storia. Dobbiamo sforzarci di cercare le soluzioni ai problemi, che sono molto più notizia rispetto a certe pseudo emergenze che esistono da tanti anni».
Arduini ha poi parlato del progetto di podcast su “Povertà educativa e comunità educanti”, che proprio oggi è giunto alla seconda puntata di cinque. «Attraverso le voci dei protagonisti, raccontiamo i temi, le idee e gli apprendimenti maturati nei tre anni di confronti delle comunità di pratiche promosse dal Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile e avviate da “Con i Bambini”. Abbiamo coinvolto oltre 1.300 partecipanti in tutta Italia e previsto 168 momenti di dialogo per mettere in condivisione pensieri e approcci alle progettualità sviluppate e per far emergere modelli riproponibili anche nelle policy pubbliche». Quattro spazi di confronto al mese, in uno scambio di saperi e nella condivisione delle criticità. «Parlando anche di come stanno gli operatori (educatori, insegnanti, ecc.), di cui nessuno si occupa. Se stanno male, cala la qualità del loro lavoro», ha precisato il direttore di VITA.
Il fotoreporter Riccardo Venturi e la film-maker Arianna Massimi, autori del fotoreportage e docufilm “Non sono Emergenza”, hanno parlato delle loro esperienze e di come raccontare le nuove generazioni, partendo dall’ascolto e dal punto di vista di ragazzi e ragazze. È invece spettato a Ivano Maiorella, direttore del Giornale Radio Sociale e membro del consiglio di disciplina dell’Ordine giornalisti del Lazio, chiudere una mattinata ricca di spunti, parlando del ruolo del giornalista quale parte integrante della comunità educante. «Abbiamo trascorso alcune ore a parlare e soprattutto ad ascoltare. Ma il tempo non è un lusso: è comprensione, consapevolezza», ha esordito Maiorella. «Parafrasando don Roberto Sardelli (prete e intellettuale che istituì Scuola 725, ndr), “Non faccio assistenza, creo coscienza”. La campagna “Non sono emergenza” riguarda tutti, giornalisti compresi, perché molti di noi sono precari o sottopagati. Ma fare informazione ci assegna un ruolo molto importante e delicato, riassumibile in un termine: responsabilità. Siamo forse la categoria che, più di tutte, ha subìto i maggiori cambiamenti tecnologici. Pure noi, oggi, abbiamo problemi nelle relazioni sociali: in molti lavorano da casa, non c’è più il confronto della redazione e il contatto con i colleghi più anziani che hanno sempre qualcosa da trasmettere ai più giovani. Parliamo di questi ultimi dimenticando che devono essere i giovani a raccontarsi».
Di pomeriggio, sempre al Centro Exmè, si è tenuto un incontro con le comunità di pratiche dei progetti sostenuti nel Sud e nelle isole, condotto da Giovanna Maciariello attraverso la modalità del world cafè. È stato affrontato il tema delle competenze degli operatori e delle équipe, con l’obiettivo di far emergere pratiche e strumenti di lavoro tra professionisti e operatori impegnati nei cantieri educativi promossi da “Con i Bambini” nell’ambito del Fondo nazionale per il contrasto della povertà educativa minorile. Marco Braghero, pedagogista e formatore, coordinatore scientifico nazionale della Rete scuole dialogiche, ha tenuto l’intervento di apertura. Il percorso di comunità di pratiche, avviato nel 2019, è stato rivolto alle organizzazioni sostenute dal Fondo e coinvolto sinora circa 1.300 partecipanti su tutto il territorio nazionale, con l’intento di dare spazio e voce alle numerose realtà che sono quotidianamente impegnate a sperimentare pratiche educative in contesti sociali e culturali particolarmente difficili.
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