Politica

La commozione e il futuro

di Franco Bomprezzi

Cari amici cittadini di questo Paese, vi scrivo poche frasi, così, di getto, di domenica sera. Penso che sia giunto il momento di prendere in mano, ognuno di noi, il nostro progetto di vita, di esistenza, qui e adesso. C’è bisogno di fare il punto, di tirare una riga. Viviamo una stagione difficile per i diritti, specialmente per le persone più in difficoltà, per le famiglie che stanno scivolando verso la povertà, anche se forse, nel loro annaspare quotidiano, faticano a rendersene conto. Abbiamo uno Stato che non funziona, che non sta affrontando, a molti livelli, i problemi reali della gente. I servizi fondamentali sono in bilico, mancano i soldi, e nel 2012 andrà sicuramente ancora peggio. Eppure ovunque, nello stesso momento, incontriamo storie di persone per bene, di esperienze positive, di solidarietà attiva, di progettualità efficace.

Abbiamo visto per la prima volta centinaia di migliaia di persone di ogni ceto, di ogni idea politica, di tante generazioni, chiedere a gran voce un forte cambiamento nel modo di vivere la partecipazione alla politica. Leggiamo sui giornali analisi dettagliate, a volte perfino dotte, che ci descrivono con estrema precisione che cosa non va, che cosa non funziona, e perché. Sappiamo tutti perfettamente che stiamo attraversando una fase di passaggio, l’uscita da un lungo dominio esercitato dalla forte personalità politica, economica e di modello di potere di Silvio Berlusconi. Non sappiamo che cosa succederà dopo, e neppure quando comincerà davvero a succedere qualcosa di decisivo. Ma sappiamo che sarà così.

E allora io credo che noi tutti dobbiamo girare l’interruttore della nostra coscienza, rimboccarci le maniche, fare l’inventario delle nostre capacità e delle nostre relazioni. Metterci in rete con chi condivide la speranza. Dobbiamo cominciare a pensare in grande, al meglio, al bene comune, a quello che forse possiamo fare ogni giorno per modificare, nelle piccole e nelle grandi cose, quello stato di cupa rassegnazione che ci porta sulla soglia dell’apatia, dell’insensibilità, perfino della freddezza emotiva.

C’è qualcosa di importante, ad esempio, nella commozione popolare di queste ore per la morte, drammatica, di un giovane pilota di motociclismo. Mi pare di cogliere qualcosa di più di un comprensibile dolore, che spesso si accompagna ad eventi che pure fanno parte del gioco rischiosissimo di sport basati sulla velocità e sullo sprezzo del pericolo. Qui è scattato il dolore perché Marco Simoncelli, 24 anni, era un ragazzo pieno di gioia di vivere, di allegria, di simpatia irrefrenabile e contagiosa. E’ scattata secondo me un’empatia fortissima, quasi sorprendente, quasi il desiderio collettivo di emozionarci, finalmente, e di commuoverci. Per un giovane, e dunque, attraverso di lui, per tutti i giovani come lui. Quelli che ridono, scherzano con la vita, si lanciano nelle imprese più ardite, non pensano ai rischi che corrono, ma vogliono solo vivere e sorridere, e vincere.

Siamo tutti stanchi di banalità, di tristezza, di discorsi arrabbiati, di divisioni urlate e incapaci di produrre il nuovo. Faccio appello alle persone di buona volontà. Diamoci da fare, fosse anche soltanto per ricordare come si deve il sogno di un giovane motociclista. Riscopriamo insieme l’emozione di contribuire alla nostra società, al nostro Paese, l’Italia, con tutte le sue contraddizioni, ma pur sempre davvero un grande Paese, con una grande Costituzione repubblicana, nella quale c’è scritto quasi tutto. Leggiamola, lavoriamo, andiamo avanti. Senza paura. Viviamo ogni giorno riempiendolo del senso della vita. Ce la possiamo fare.

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