Famiglia

La Commissione per l’integrazione conclude il suo primo mandato

In una nota conclusiva il gruppo di indagine e studio consegna i suoi suggerimenti alla politica

di Barbara Fabiani

La Commissione per le politiche di integrazione ha concluso in questi giorni il suo primo mandato triennale. Prevista dall’art.46 del Testo unico sull’immigrazione, la Commissione presieduta dalla prof. Giovanna Zincone e composta da rappresentanti del dipartimento affari sociali, del ministero dell’interno, degli esteri, del lavoro, della sanità e della pubblica istruzione nonché da un gruppo di selezionati esperti, ha avuto a disposizione un finanziamento di 1miliardo 800milioni che sono serviti per svolgere 19 studi focalizzati su specifici problemi dell’immigrazione e per la produzione di 2 rapporti nazionali sull’integrazione.

Con tutta probabilità ci sarà da aspettare fino al prossimo autunno per le nomine dei nuovi componenti di quest’organo consultivo, nomina che avviene con decreto del Presidente del consiglio sentito il parere del Ministro del welfare; intanto la Commissione ha diffuso un documento finale in cui, partendo dall’esperienza acquisita, elenca i punti forti e quelli deboli delle politiche d’immigrazione, suggerendo , come da suo mandato, alcuni aree di intervento.

“Le politiche di integrazione in Italia sono all’avanguardia in alcuni settori e in retroguardia in altri” – dice il documento che tra gli aspetti positivi indica lo sforzo complessivo della normativa italiana in materia di tutela della maternità e dell’infanzia, anche per gli stranieri, come anche i passi avanti nella tutela del lavoro tra cui i diritti previdenziali, in condizioni di parità con i cittadini italiani, senza il vincolo di reciprocità.
Tra i provvedimenti più importanti ed avanzati c’è la garanzia del diritto fondamentale alla salute per tutti i cittadini non comunitari, indipendentemente dalla loro condizione giuridica, diritto questo riconosciuto per legge ( e non con altri strumenti) solo dal nostro paese, dalla Francia e dalla Spagna; mentre è una preziosa innovazione tutta italiana l’introduzione del “permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale” dedicato a uomini e donne vittime della criminalità organizzata.

Ma c’è anche un risvolto della medaglia.
Secondo la Commissione in Italia non è stato data ancora sufficiente slancio alle politiche attive contro il razzismo. “Rispetto alle misure anti discriminazione – si legge nella nota – l’Italia è solo parzialmente in regola con la direttiva dell’Unione Europea (2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000) che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; la nostra legislazione ha accolto il principio della discriminazione “oggettiva” (quando si osserva la presenza di troppo pochi membri di una minoranza in posizioni appetibili rispetto agli aventi diritto), ma non ha accolto l’inversione dell’onere della prova”. Incoraggiando la completa adozione della direttiva EU, la Commissione uscente ricorda anche che l’Italia non ha ancora introdotto, come prevede la direttiva, un osservatorio sulle discriminazioni di natura razziale.

Particolarmente grave, parlando di discriminazione, è la condizione delle minoranze Rom e Sinti, sottolinea questo gruppo di studio fino ad oggi situato in quello che si chiamava il Dipartimento degli affari sociali, ora Ministero del Welfare.

Tra le altre raccomandazioni c’è anche quella di alleggerire la burocrazia, di ridurre la differenziazione territoriale delle procedure amministrative, e di contrastare l’eccessiva discrezionalità, fattori che compromettono una vera integrazione degli i stranieri lungo-residenti i quali avrebbero diritto alla carta di soggiorno e che invece non riescono ad ottenerla. “E’ l’insieme dei diritti dei lungo-residenti che appare in Italia ancora fragile” si legge nella nota, in cui si incoraggia anche una ripresa di un dibattito approfondito e coraggioso sulla questione del voto amministrativo.

Inoltre, “La clandestinità non si contrasta se non si contrasta il lavoro nero” – dice chiaramente la Commissione – “Gli immigrati arrivano in Italia clandestinamente o diventano irregolari senza troppi timori perché sanno di poter trovare lavoro nell’economia informale (in Italia tra le più cospicue d’Europa)”. Il suggerimento della Commissione uscente è di quello facilitare l’immigrazione regolare, aumentando gli ingressi specie quelli con sponsor, di contrastare l’economia sommersa, ma soprattutto chiede una gestione dei flussi meno rigida e lenta di quella attuale, che non consente un tempestivo incontro tra domanda e offerta.

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