Salute
La Commissione Paglia e la salute di prossimità: proposte di pensieri e opere
Più volte le ACLI e la sua Federazione Anziani e Pensionati (FAP) si sono concentrate nel porre il tema della prossimità delle cure al cittadino, che per la popolazione anziana e più in generale per quella non autosufficiente significa il diritto alle cure, in quanto per chi vive condizioni di non autosufficienza non c’è cura se questa non è prossima all’abitazione. La strada da imboccare consistente nel rafforzamento delle cure domiciliari integrate come diritto esigibile e non solo accessibile ai più fortunati a seconda della latitudine di residenza. Strada che richiede un forte investimento nella telemedicina domiciliare, al fine di ridurre il fenomeno della ospedalizzazione impropria
L’istituzione a cura del Ministro della Salute Speranza della commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria della popolazione anziana, affidata alla presidenza di Mons. Vincenzo Paglia, Gran cancelliere del Pontificio Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, rappresenta un’intuizione notevole su un tema cogente che l’emergenza epidemiologica da Covid 19 ha semplicemente messo a nudo, ma già presente nei bisogni dei cittadini italiani.
Più volte le ACLI e la sua Federazione Anziani e Pensionati (FAP) si sono concentrate nel porre il tema della prossimità delle cure al cittadino, che per la popolazione anziana e più in generale per quella non autosufficiente significa il diritto alle cure, in quanto per chi vive condizioni di non autosufficienza non c’è cura se questa non è prossima all’abitazione.
Tale principio deve animare i lavori della istituenda commissione di cui si invoca tra l’altro l’allargamento ai soggetti rappresentativi dei fabbisogni sociali degli anziani. Da ciò discende la strada da imboccare obbligatoriamente, consistente nel rafforzamento delle cure domiciliari integrate come diritto esigibile e non solo accessibile ai più fortunati a seconda della latitudine di residenza. Strada che richiede un forte investimento nella telemedicina domiciliare, al fine di ridurre il fenomeno della ospedalizzazione impropria, con forme di sanitarizzazione del sociale, e che la lasci la istituzionalizzazione degli anziani nelle residenze sanitarie quale ultima e residuale spiaggia, ove la domiciliarità è oggettivamente impraticabile o non sostenibile sul versante di una efficace presa in carico.
Altro tema collegato e che auspichiamo diventi oggetto della istituenda commissione, è quello del potenziamento della sanità di prossimità, svuotata da un sistema centrato sugli ospedali e che ha via via ridotto gli ambulatori e i presidi locali che rappresentano l’unica soluzione di cura per chi ha ridotte mobilità e ridotte capacità economiche. A tal uopo offriamo all’attenzione della Commissione ma anche della pubblica opinione più in generale (stante anche la fortissima attualità del dibattito sul MES e sul Recovery Fund) la proposta degli “Ambulatori di comunità”.
Se troppi ospedali potevano rappresentare uno spreco, poco edificante è stato per la macchina pubblica non pensare che ogni comunità deve avere un presidio sanitario, oltre la medicina di base troppo schiacciata sulla burocrazia delle cure e che necessiterebbe essa stessa di essere riformata (si pensi alla proposta ad esempio di differenziazione della medicina di base, abbinando al pediatra di base, un medico di base a cui affidare in forma esclusiva pazienti cronici o comunque ultrassentacinquenni).
Le ACLI vogliono contribuire a questo cambio di paradigma nella direzione della prossimità delle cure e di sicurezza sanitaria con la creazione di ambulatori di comunità. Ambulatori, non di serie B nè esclusivamente destinati a chi non può permettersi un medico specialista a pagamento. Ambulatori per tutti coloro che vogliono essere orientati nell’accesso alle cure, nel disordine che spesso questo accesso genera. Ad esempio utilizzando le professionalità presenti nei servizi di Patronato e Caf, dai medici agli esperti di fisco, previdenza e assistenza, fornendo al cittadino un presidio per la salute globale, nel solco più pieno della definizione dell’OMS e non come mera assenza di malattia.
Di comunità: perché presenti in ogni territorio comunale, piccolo e grande, con un’attenzione particolare ai più piccoli che non consentono servizi pubblici stabili e infrastrutturati, per ragioni di insostenibilità demografica e geografica. Luoghi in cui la comunità trova un punto di approdo certo quando la salute vacilla; luoghi in cui favorire l’associazionismo tra medici di medicina generale, traguardando finalmente gli obiettivi del decreto Balduzzi e sostituendo alla logica dell’accaparramento del paziente, quella del servizio h24, ove ogni medico di base di quel territorio è di tutti e di ciascuno. Luoghi in cui promuovere piccoli poli (con il sostegno della telemedicina) in cui in un unico luogo c’è sempre un medico di base, senza vuoti, e poi vi è una vera continuità assistenziale notturna, con abbinata una piccola residenza socio-assistenziale di comunità che funziona con gli stessi medici del servizio pubblico che monitorano i propri pazienti (tanto superebbe anche la diseconomicità della vigilanza alle cd. “guardie mediche”, spesso chiuse al pubblico per motivi di sicurezza e che in un contesto di medicina territoriale associata coordinata dal Terzo Settore, potrebbero trovare la giusta dimensione di utilità/efficacia e sicurezza). Il tutto con una presenza di un OSS e di un infermiere di comunità in servizio h 24, anche per piccoli interventi domiciliari (vedi prelievi ematici e si rifletta come una soluzione del genere può rappresentare in tempi di pandemia una efficace misura di prevenzione del contagio).
Del resto, nel patrimonio comunale dismesso e nel MES vi è una enorme opportunità per sostenere gli ambulatori di comunità che potrebbero trovare anche ulteriore sostegno: dall’8×1000 destinato allo Stato, che troverebbe una destinazione trasparente e caratterizzata socialmente; dalla destinazione del patrimonio pubblico (comunale e non solo) dismesso a tale genere di attività attraverso la concessione a enti del terzo settore di locali a tal uopo individuati o ristrutturati per tale utilizzo (si pensi alle location degli attuali servizi di “guardia medica” o a veri e propri locali di nuova destinazione progettati o ristrutturati a tal fine o a una stabile destinazione dei beni confiscati alle mafie ove presenti); dai fondi del MES, il cui utilizzo è vincolato alle politiche e ai servizi sanitari, da destinare alla riforma dei servizi di salute di prossimità, come è negli auspici del Governo Italiano.
Queste sono alcune delle nostre proposte per sviluppare un dibattito che rivoluzioni nella direzione del benessere globale del cittadino il sistema di salute del nostro Paese, con un’attenzione ai soggetti più fragili, come i nostri anziani.
Gianluca Budano, Consigliere Presidenza Acli con delega Politiche della Famiglia e della Salute
Serafino Zilio, Segretario Nazionale FAP
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