Sostenibilità
La collaborazione WWF-operatori sociali: rispettare lambiente per poter curare.
Esiste unanalogia tra leducazione ambientale e lattenzione allaltro e ai suoi bisogni. Così gli allievi di una scuola per operatori sociosanitari fanno degli stage in un rifugio.
di Redazione
Ogni anno, dal 1988 a oggi, formatori del Settore educazione WWF-Lombardia e docenti della scuola per operatori sociali del Comune di Milano collaborano alla progettazione e gestione di uno stage residenziale di due giorni presso il Rifugio Cai al Monte Legnone, destinato a studenti dei corsi per educatore professionale, figura destinata a operare in ambiti sanitari, sociali ed educativi di aiuto alla persona.
La collaborazione ha funzionato da subito, e via via in modo sempre più raffinato e preciso, sulla base di una intesa profonda sulla nostra proposta: andavamo mano a mano scoprendo una forte analogia tra l?educazione ambientale intesa come acquisizione di attenzione all?ambiente, ai suoi limiti e alle sue risorse, e la consapevolezza di se stessi come abitanti del pianeta, con la formazione dell?educatore come persona professionalmente attenta all?altro, ai suoi bisogni e alle sue risorse, nella coscienza delle proprie caratteristiche ?personologiche? e del contesto in cui la relazione tra sé e l?altro avviene.
Sulla terra in punta di piedi
C?è dunque un denominatore comune nel modo di operare di chi si pone in rapporto corretto con l?ambiente e di chi cerca di costruire un?altrettanto corretta relazione finalizzata all?aiuto: è l?atteggiamento di cura.
Nella lingua inglese il termine ?cura? è espresso con due termini che corrispondono a concetti profondamente diversi: curing, che corrisponde al trattamento di una malattia, alla terapia, e caring, che esprime l?attenzione verso qualcosa o qualcuno, fino al provarne preoccupazione e ansia (I care, ?mi interessa?, ma anche ?mi riguarda?, era il motto della Scuola di Barbiana di Don Milani).
Sia nella pratica delle professioni di aiuto, sia nella visione ambientalista, il caring è un aspetto basilare che fonda il modo di concepire l?altro e quindi il presupposto di ogni possibile azione successiva; di più: è un valore. L?altro, sia esso la persona termine dell?intervento d?aiuto o l?ambiente in un qualsiasi suo aspetto, è pensato come un soggetto portatore di un suo modo di essere e di vivere, con logiche di ?funzionamento? sue, che vanno per quanto possibile individuate, e comunque rispettate per quello che sono; solo così è possibile pensare alla possibilità di una relazione utile e feconda. Noi volevamo che nello stage fosse possibile diventare più consapevoli di sé come carer, cioè come persone più o meno capaci di essere attente all?altro in un modo efficace, cioè necessariamente, nel modo corretto. Volevamo che durante lo stage le persone si fermassero ad ascoltare l?altro. E ad ascoltare se stessi in ascolto dell?altro.
Un altro motivo di sintonia tra WWF e scuola ha riguardato la metodologia da seguire: come costruire una situazione che producesse l?effetto desiderato, ossia di permettere agli studenti di sperimentare le proprie capacità di attenzione?
Sulla terra in punta di piedi
Nella formazione al lavoro sociale il fulcro è rappresentato non tanto dall?acquisizione di modelli teorici e di tecniche – cose che pure fanno ovviamente parte del piano di studi – ma dal lavoro su di sé che lo studente è chiamato a fare, di maturazione di motivazioni e atteggiamenti personali, di rivisitazione del proprio sistema di valori e appartenenze alla base della scelta professionale. Quindi, l?ipotesi da noi proposta, peraltro già messa in atto in numerose esperienze di educazione ambientale, partiva dal presupposto che una prospettiva di cambiamento profondo, reale, continuo di comportamento sia il risultato di un percorso metodologico che, passando attraverso la sensorialità e l?affettività, successivamente arriva alla razionalità e al mutamento di atteggiamento. Abbiamo usato quindi un paradigma senso-cuore-testa che non presume né il possesso né l?acquisizione di nozioni di alcun genere, ma solo la disponibilità a mettersi in gioco con i propri sensi e la propria affettività, con la promessa che il capire sarebbe venuto dopo.
Questo è sostanzialmente lo schema di lavoro per tutte le attività dello stage. Cito un breve esempio: una di esse si svolge in coppie, uno è ?il fotografo?, l?altro la ?macchina fotografica? che tiene gli occhi (l?obiettivo) chiusi. Il ?fotografo? sceglie un soggetto nell?ambiente circostante e con un segnale convenuto fa aprire gli occhi alla ?macchina? che ?scatta la foto?. Nella discussione in gruppo che segue il gioco, una ?macchina? diceva: «Aprire gli occhi e trovarsi davanti l?immagine che qualcuno ha pensato per te. Ce l?ho ancora quell?immagine». E un ?fotografo?: «Non ho trovato niente di interessante. Non volevo dargli foto banali, foto che non avrei fatto». Le sensazioni si collegano agli affetti sperimentati, ma anche a problemi quali l?uso del contesto e la responsabilità di scegliere per l?altro e alle conseguenze implicite nella scelta.
Nello stage così concepito l?ambiente è presente a diversi livelli. È l?altro da sé con cui entrare in rapporto, ascoltandolo e cercando di comprenderne le regole; è uno strumento che media la relazione fra i partecipanti e fra questi e i formatori ed è il contenitore di sensazioni, emozioni, riflessioni scambiate in gruppo. Il setting ambientale si fa precondizione per aprirsi agli altri.
In sintesi: è un?esperienza in diversi modi e a diversi livelli, comprende la dimensione individuale, ma anche il gruppo che contiene le ansie del singolo. È un ritorno a esperienze infantili. Il poter andare senza meta, senza «dover arrivare a». È una diversa esperienza del tempo. La dimensione dell?ascolto del silenzio.
di Gianni Del Rio
università Milano Bicocca
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