Scuole di cittadinanza

La classe? È una palestra per cittadini liberi

Milano, municipio 6. Gli otto istituti comprensivi si sono uniti per gestire quel "white flight" che porta gli alunni con background migratorio a concentrarsi solo in alcune scuole. In questo ambito è nato l'Osservatorio dei bambini e delle bambine, «perché il confronto su questi temi è la base su cui si fonda il senso di responsabilità di un ragazzo di origine straniera rispetto al contesto in cui vive»

di Veronica Rossi

«Capisco che mio figlio faccia confusione in classe, però è importante che studi come gli altri, altrimenti non potrà mai essere un cittadino libero». Questa frase, detta da una mamma ospite di un Centro di accoglienza straordinaria – Cas insieme a suo figlio, sintetizza appieno il ruolo che può avere la scuola nel formare gli italiani di domani. Perché tutto questo funzioni per il meglio, tuttavia, serve abbattere le disuguaglianze tra i diversi istituti: ci sono ancora troppe scuole che hanno possibilità di didattica e di inclusione maggiori rispetto ad altre. È per questo che è nato il progetto Scuola cooperativa di prossimità – Scoop, finanziato dall’impresa sociale Con i bambini con il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile e gestito dalla cooperativa sociale Comunità del Giambellino, a cui partecipano gli otto istituti comprensivi del Municipio 6 di Milano, assieme al Comune di Milano e alla rete territoriale degli enti del Terzo settore.

«Scoop parte dall’idea che non si può lasciare alle singole scuole o alle famiglie il compito di combattere la segregazione scolastica», dice Marta Berti, responsabile del progetto. «C’è bisogno di cooperazione». Al Municipio 6 la rete tra le diverse realtà sociali non è una novità: anche prima di partecipare al bando “Vicini di scuola” di Con i bambini era già stato istituito un tavolo di lavoro a cui partecipavano le istituzioni, i dirigenti e i rappresentanti del Terzo settore. «La prima questione che è stata rilevata è che le scuole più in periferia con un’altissima percentuale di studenti stranieri sono anche le scuole che hanno maggiore carenza di risorse», continua Berti. «Banalmente, all’inizio dell’anno, gli istituti chiedono un contributo volontario alle famiglie: quelli più centrali riescono a chiederne uno più alto, le altre possono domandarne uno molto più basso e comunque molte famiglie non sono in grado di pagare. Quindi, già in partenza, alcune scuole iniziano con meno possibilità di attivare laboratori e attività che possono supportare gli alunni più fragili».

In alcune classi ci sono molti ragazzi con storie di migrazione – loro o dei loro genitori – alcuni appena arrivati da Paesi stranieri, oltre a studenti con disturbi specifici dell’apprendimento, bisogni educativi speciali o disabilità non riconosciute. Scoop intende dare una possibilità ai bambini e ai ragazzi di tutte le scuole, grazie a una condivisione delle risorse, attuata attraverso un’attenta pianificazione all’interno dei gruppi di lavoro trasversali. «L’idea è di far arrivare le risorse dove ce n’è più bisogno», commenta la responsabile, «e quindi di riequilibrare l’eterogeneità delle classi. C’è, per esempio, il gruppo intercultura, specializzato in questi temi e nell’insegnamento dell’italiano L2, che sta studiando dei protocolli di accoglienza degli alunni stranieri». In questo modo, si riescono a organizzare più laboratori di apprendimento della lingua italiana nelle scuole con più alunni stranieri, oppure di crearne anche negli istituti più centrali, in modo che possano accogliere ragazzi di origine straniera che arrivano nel corso dell’anno, così che non finiscano tutti nelle stesse classi.

All’interno del gruppo, si cercano soluzioni per ridistribuire gli studenti: in una zona periferica del Municipio, per esempio, è stato aperto un Cas e tutti i bambini e i ragazzi ospiti vengono iscritti in uno degli istituti comprensivi con più difficoltà. Ma si tratta di giovanissimi che hanno bisogno di attenzioni particolari, per cui è importante che non siano tutti assieme: solo così possono essere seguiti al meglio dagli insegnanti. Per fare ciò, è necessaria la mediazione del Terzo settore. «Noi ci troviamo a tessere le relazioni tra i vari istituti scolastici, che con l’autonomia sono un po’ spinti a dover gestire le proprie risorse e a guardare al loro interno», dice Berti, «e a mettere in campo delle competenze che all’interno della scuola non ci sono, per insegnare l’italiano come seconda lingua o anche per dare un supporto psicologico ai ragazzi».

Questo lavoro del privato sociale, tuttavia, è emergenziale secondo i promotori del progetto. «L’ intervento del Terzo Settore per sostenere i percorsi dei ragazzi e delle ragazze, in modo che possano esercitare il diritto/responsabilità di frequentare la scuola è sintomo di una mancanza da parte dell’ istituzione pubblica», chiosa la responsabile. «Questo tipo di intervento non dovrebbe essere la normalità ma una condizione straordinaria che possa generare poi la strutturazione di risorse che possano garantire l’esercizio del diritto/responsabilità di frequentare la scuola per tutti e tutte».


Educare alla responsabilità

Se il progetto offre agli istituti le risorse necessarie per seguire gli studenti – e quindi per creare dei percorsi di inclusione – prevede anche degli interventi che promuovono le competenze di educazione civica. C’è, per esempio un “Osservatorio dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze”, in cui sono proprio gli studenti a essere chiamati in causa per fare un’analisi sui temi della segregazione e dello star bene a scuola. «I momenti di confronto sono le basi su cui si fonda un senso di responsabilità di un ragazzo di origine straniera rispetto al contesto in cui vive», afferma la responsabile. «Al Terzo settore, poi, le scuole spesso chiedono di organizzare interventi sulle relazioni nel gruppo classe e la creazione di comunità. Facciamo un lavoro integrato, anche con le istituzioni pubbliche e i servizi legati alla salute psicologica dei ragazzi, che garantiscono che gli alunni possano vivere un’esperienza significativa nel loro percorso scolastico, che è la base per essere cittadini ed esercitare la cittadinanza». Una scuola di qualità, infatti, è palestra di democrazia, che insegna a stare dentro un sistema di libertà, in cui scegliere i propri rappresentanti ed esercitare la libertà.

Questo articolo fa parte della serie “Scuole di cittadinanza”. Per aderire al Manifesto del Terzo settore e della società civile per lo Ius Scholae, clicca qui. Leggi anche:

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